Chiedere a Diego Lenzi di scegliere tra l’oro olimpico e il titolo mondiale da professionista è inutile: li vuole entrambi. Nato in Emilia Romagna come Francesco Damiani, ultimo pugile italiano ad aver conquistato la cintura iridata dei pesi massimi, il 23enne bolognese, 187 cm per 112 kg, si appresta a fare il suo debutto da professionista nella divisione regina. Domenica 15 dicembre, quattro mesi dopo i Giochi di Parigi 2024, dove con i quarti di finale fu il migliore della spedizione azzurra, Lenzi salirà sul ring senza canottiera e sfiderà il serbo Georgija Stanisavljev nell’evento targato The Art of Fighting al Centro Pavesi di Milano. “Sto lavorando bene. Mai così bene”, assicura. E c’è da credergli. Lo scorso 30 novembre ha vinto l’argento a Sheffield, dopo essersi fermato in finale (con verdetto discusso) alle World Boxing Cup Finals, il torneo organizzato dalla nuova federazione internazionale che punta a riunire il mondo dei guantoni per salvare il pugilato nel programma olimpico di Los Angeles 2028.
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Diego, a Sheffield il verdetto della finale contro Joel Silva non è stato unanime. Due giudici ti avevano assegnato la vittoria. Cos’è successo?
Perdere non è mai bello, anche se il torneo era minore. Volevo vedere i miglioramenti, mi sentivo benissimo, al punto che la finale l’ho presa sotto gamba. Il verdetto a mio giudizio è stato errato, ma potevo comunque fare meglio. Sono felice però di sentire molta sicurezza sul ring.
Nel professionismo un match così l’avresti perso?
No, anzi stavo crescendo nella terza ripresa. Le mie qualità nel professionismo saranno esaltate al 100% perché c’è più studio e io sono un pugile molto intelligente. Le mie doti sono velocità e potenza e verranno messe ancora più in risalto. Ma sarà allo stesso tempo una boxe più ragionata e studiata, quindi mi troverò meglio.
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L’idea del professionismo c’era già prima di Parigi?
Ci ho pensato subito dopo. Il campione olimpico della mia categoria (Bakhodir Jalolov, ndr) ha già un record di 14-0 da pro. Perciò penso che ci sia una relazione tra le due cose. Io ho 42 match attualmente e in vista di Los Angeles devo fare più attività possibile, perché a livello fisico e di motivazioni non mi manca niente. Mi manca l’esperienza sul ring con un uomo davanti e voglio fare più incontri possibili.
Un obiettivo a lungo termine te lo sei posto?
Ho già il piano di vita: nel 2028 vincerò le Olimpiadi e nel 2031 il titolo mondiale da professionista. Dopo il ritiro mi dedicherò alla carriera da attore. Infine, compiuti i 50 anni, entrerò in politica.
Le idee chiare non mancano
Oro olimpico prima e titolo WBC poi: è una conseguenza.
Nella sua leggendaria carriera Francesco Damiani ha vinto il titolo mondiale WBO e l’argento olimpico. Ti ha dato consigli?
Sì. Abbiamo un grande rapporto, anche perché è emiliano come me. Mi ha consigliato di iniziare a picchiare un po’ di più. Sono un ‘tappo’ per i pesi massimi e devo menare. Ora sto lavorando sul lavoro al corpo, che ho tralasciato negli scorsi anni.
Oggi però l’universo dei pesi massimi è dominato da Oleksandr Usyk che come te non è tra i più alti della categoria. Ti piace?
Mi piace perché è il più forte, ma preferisco altri. E poi a me i pesi massimi non piacciono, anzi mi annoiano. E lo dico da peso massimo.
Viva la sincerità
I massimi non sono belli da vedere come i pesi medi e i pesi leggeri a livello di qualità del match. I miei pugili preferiti sono Canelo Alvarez e Gervonta Davis. Se devo guardare un incontro di boxe per puro piacere, guardo loro e non i massimi. E penso di stare eccellendo anche per questo motivo: mi ispiro ai pesi più leggeri e la mia mobilità è legata anche a questo aspetto.
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I pesi massimi però sono i più seguiti e c’è un italiano come Guido Vianello che sta scalando i ranking mondiali
Conosco Guido da qualche anno perché ci siamo spesso incrociati per lo sparring e oltre a me è l’unico peso massimo forte in Italia. Abbiamo un livello basso nel nostro paese in questa categoria di peso e non lo dico io per fare il fenomeno, ma lo dicono i risultati. Ho tanto rispetto e stima per lui. Sta facendo parlare i fatti e gli auguro il meglio.
Un derby italiano ti piacerebbe?
Solo con un titolo in palio. Altrimenti non avrebbe senso, anche perché vincerei io (ride, ndr)”.
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Sui social fai spesso video didattici per i giovanissimi. Serve un Sinner alla boxe per tornare ad essere popolare in Italia o può bastare anche l’opera di divulgazione dei pugili sui social?
Servono entrambe le cose e io voglio essere sia l’uno che l’altro. La divulgazione è importantissima. In Italia i ragazzi stanno rispondendo bene, sono in tanti a scrivermi e se continuiamo a lavorare così sui social possiamo crescere tanto. Rispetto a qualche anno fa, l’abbiamo già fatto.
Quindi Diego Lenzi si candida ad essere il Sinner della boxe italiana?
Assolutamente. Anche se caratterialmente siamo diversi. Nulla da dire al Sinner atleta, ovviamente, ma è una persona molto riservata e fa benissimo dal suo punto di vista, non è una critica. Ma io vorrei fare anche il personaggio. Penso a quella che è stata la mia infanzia: ero il classico bambino basso, brutto e grasso, adesso voglio essere quello alto, bello e famoso. Ma un aspetto negativo dell’Italia è che quando dici una cosa del genere, le persone ti attaccano. Ma è vera e la penso, perché non dovrei dirla?
A proposito di personaggi e influencer: Jake Paul contro Mike Tyson, giudizio positivo?
Se una persona crea un business senza causare danni alle persone, perché non dovrebbe farlo? Fa benissimo, anzi spinge nuovi appassionati a guardare il pugilato. Non ho visto il match con Tyson perché non mi interessava, ma è uno show come il wrestling che fa milioni di dollari.
Di boxe si è parlato negli ultimi mesi per il match tra Angela Carini e Imane Khelif. Come hai vissuto quella situazione a Parigi?
Semplicemente non l’ho vissuta. Sono un ragazzo molto solitario e silenzioso nella vita privata, al contrario di quel che si vede pubblicamente. Alle Olimpiadi me ne sono stato nella mia camera da solo, non per cattiveria, antipatia o mancanza di rispetto, ma perché sono fatto così e non volevo avere altri tipi di stress. Quindi non ho vissuto quella situazione perché volevo solo pensare alla mia attività. Mi è dispiaciuto per Angela perché ha perso un’italiana, ma come ha perso non mi interessa.
C’è ansia in vista del debutto da professionista?
Per me è una cosa completamente nuova, ho capito come fare il pugile dilettante e penso che dopo Parigi nessun’altra cosa possa mettermi ansia in quel campo. Il professionismo mi piace di più, mi dà più possibilità di far vedere quello che sono e mi permette di esprimere quello che voglio fare. Non vedo l’ora e spero di combattere il più possibile da professionista.