Francesco Repice ha concesso un’intervista a Sportface, come ospite per la rubrica “15 minuti con…“. Il noto radiocronista RAI ha raccontato ampi tratti della sua carriera, regalando aneddoti divertenti ed elogiando il lavoro di coloro i quali lo hanno aiutato a diventare il professionista che è oggi. Repice infine ha definito con precisione la differenza fra commentare un match di categoria inferiore ed uno di massimo prestigio, la quale a suo parere non esiste.
CONSIDERAZIONI SULL’EMERGENZA CORONAVIRUS – “Per me va tutto bene, devo ringraziare il cielo per questo. Ci sono troppe persone a parlare in questo periodo, tutti sputano sentenze e credono di saperne più degli altri. La verità è che ci troviamo di fronte a qualcosa che non conosciamo, se fossi stato in Conte avrei agito nella stessa maniera, mi sarei circondato di esperti. Tutto ciò che sta succedendo un test, con le piccole riaperture si può sempre tornare indietro se qualcosa va male. Nel 1969 siamo arrivati sulla luna, nel 2020 non si trova il vaccino per l’influenza: i nostri sforzi sono stati riposti male“.
GLI INIZI DELLA CARRIERA – “Mi sono avvicinato a questo mestiere per due motivi, il principale è che ero un calciatore frustrato, sono arrivato a livelli infimi ed ero una rovina per gli allenatori che ho avuto: il classico 10 statico. Il secondo motivo è che sono un tifoso, non un simpatizzante, proprio un sostenitore di curva, so cosa significa fare una trasferta ed essere un ultras. Dovevo continuare a confortare la mia passione, da giornalista“.
INSEGNAMENTI DI BRUNO GENTILE E RICCARDO CUCCHI – “Io ho affiancato sia Bruno Gentile che Riccardo Cucchi per tantissimi anni, da loro ho appreso tutto. Da Bruno ho appreso la tranquillità e mai la drammatizzazione di una situazione, la capacità di uscire dalle situazioni più complicate senza trasmettere ansie o paure. Da Riccardo ho imparato lo scrupolo assoluto su ogni minuzioso dettaglio, per ogni notizia che arrivava e per la verifica per ogni piccolo particolare che arrivava in postazione cronaca“.
CRONACA PIÙ EMOZIONANTE – “La finale di Coppa di Campioni a Wembley fra Manchester United e Barcellona, del 2011, è stata la partita più emozionante che ho commentato. Vidi una partita incredibile, non avevo mai visto giocare a calcio in quel modo. Commentare una partita in cui il capitano è un ragazzo che poche settimane prima era in sala operatoria (Eric Abidal) ed una leggenda come Carles Puyol tagliato fuori è stato particolare. L’aspetto migliore è stato il festeggiamento dopo la vittoria, con Abidal glorificato da tutti, con la coppa fra le mani“.
TELEVISIONE – “Un’esperienza in televisione l’avrei fatta, ma nessuno me lo ha mai offerto. La radio però rappresenta un modo di fare giornalismo che più si sposa con le mie caratteristiche, o meglio, io riesco a sposarmi meglio con le peculiarità del mezzo. Non posso permettermi il lusso di raccontare via radio le presenze o il gol fatto: chi mi ascolta in radio vuole sapere dove viaggi il pallone“.
L’ESSENZA DEL GIORNALISMO – “La differenza fra Francesco che raccontava Rende-Paganese e quello che raccontava Manchester Untited-Barcellona non c’è. Ho avuto un grande insegnamento di Sandro Ciotti: ‘Leggi i libri, i giornali, le scritte sui muri, i pezzi di carta bagnati per terra. Ogni parola ti aiuterà ad arricchire il tuo bagaglio, più colori abbiamo a disposizione e più il quadro diventa meraviglioso’. In realtà il giornalismo è quello, la cronaca è quella, sia per Rende-Paganese e Manchester United-Barcellona. Se io potessi adesso, sarei al mio paese a pescare: probabilmente alla fine di tutta la storia tutto quello che ho fatto è fantastico, però in questo mi manca stare in barca a Tropea“.