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Matteo Berrettini ha parlato al Corriere dello Sport in merito al suo ultimo infortunio che, dopo l’Atp di Napoli, non lo farà partecipare a Vienna. Ecco le sue parole: “Sto meglio, il piede è ancora un po’ dolorante, ma stringo i denti e sto facendo di tutto per essere in campo a Parigi-Bercy la prossima settimana. Alla fine mancano solo quel torneo e la Davis. Fortunatamente non è un infortunio serio. Era importante scongiurare qualsiasi tipo di lesione, ma c’è del liquido nel piede che deve andar via e sto facendo terapie in tal senso. Poi, con il mio team, cercherò di capire da cosa è causato. Bisogna avere pazienza. Fondamentalmente quello che facciamo noi tennisti è portare mente e corpo al limite. Sin da bambino mi sono fatto male spasso perché spingevo sempre al 110%. Si sa che lo sport a questi livelli non è il massimo per il corpo umano. In più viaggiamo tanto e spesso in condizioni diverse. Insomma, infortunarsi è fisiologico”.
E ancora: “Da quando ho 17 anni lavoro con un mental coach. Quello della salute mentale è un argomento che non può essere più un tabù, ma assolutamente normale. Poi cerco di prendere aiuto da chi mi è attorno: famiglia, amici, team. Per fortuna ho tante persone che mi vogliono bene. Ho bisogno di rientrare in un’ottica di normalità: dimenticare il Matteo Berrettini tennista e diventare Matteo e basta, quello che parla con gli amici di quando si andava a scuola, delle bravate fatte da ragazzini. Cose che mi fanno riconnettere con la realtà. Ogni tanto, invece, ho bisogno di stare da solo. Nella mia solitudine ritrovo voglie, stimoli, le cose che mi nutrono”.
Queste invece le sue parole sui tanti tennisti italiani che stanno sportivamente nascendo negli ultimi anni: “Siamo più di tre qui. E non siamo così lontani gli uni dagli altri. Sonego ha avuto un anno complicato ma era 20 del mondo. Fognini è sempre molto pericoloso e con Bolelli sta facendo una buonissima annata in doppio. La cosa più bella è che ci sia un sacco di gente che ci sta seguendo: poi che preferiscano me, Sinner, Musetti o gli altri non importa. È bello che seguano il tennis, diventato più ‘mainstream’. Una cosa molto bella ma allo stesso tempo pericolosa. Si rischia sempre il commento non costruttivo, ma da bar. Sui social ci sto, ma non tantissimo. Leggo, alcune volte sorrido, alcune volte ci rimango male. Più che altro mi sorprende la cattiveria. Mi chiedo come uno si possa sfogare così tanto su qualcuno. Mi inquieta la mancanza di sensibilità umana, come se noi fossimo delle macchine che devono fare solo quello: se falliamo siamo da rottamare e se vinciamo siamo da mettere su un piedistallo. Alla fine vado a dormire lo stesso e il giorno dopo sono tranquillo, ma mi dispiace che a volte il tennis venga visto così”.
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