Dopo il primo pezzo targato “My Favourite Game” insieme ad Andrew Howe (clicca qui) sono successe un po’ di cose a dir poco inattese a livello mondiale, probabilmente ve ne sarete accorti…
Le vite di tutti noi, così come i programmi e gli impegni lavorativi hanno subito delle variazioni o degli stravolgimenti. Questa rubrica, pensata per l’approfondimento su atleti ed artisti fortemente caratterizzati da una doppia passione, sport e musica, era di fatto stata pensata per arricchire la proposta di contenuti di SportFace in vista delle allora imminenti Olimpiadi di Tokyo, che però come sappiamo sono state per forza di cose rimandate all’estate 2021.
Una spiacevole quanto curiosa coincidenza che rimanda al caso di uno dei principali prescelti per questa rubrica, Ntendarere Djodji Damas, conosciuto ai più come Tenda, il cantante e frontman della band romana Giuda. I Giuda spaziano dall’hard rock al glam, passando per il punk e sono senza timore di smentita la rock band italiana più importante ed amata a livello internazionale che sia in circolazione da diversi anni a questa parte. Pur facendo fieramente parte dell’universo underground (quindi non vi capiterà quindi di sentirli sulle radio più famose o per meglio dire “mainstream” tipo Virgin), hanno fatto strada grazie alla qualità più importante che si possa avere in questo ambito, la credibilità. Questo li ha portati ad essere una band ormai di culto non solo in Italia, bensì in gran parte d’Europa (in particolare vanno alla grande specialmente in Inghilterra, Francia e Spagna), ma ormai anche negli Stati Uniti, dove vengono pubblicati dalla Burger Records, etichetta iconica per gli appassionati del genere.
Ora però veniamo al motivo del parallelismo con le Olimpiadi, dopo svariati e fortunati tour nel Vecchio Continente e negli States i Giuda erano in procinto di tagliare un nuovo e prestigioso traguardo della loro carriera, proprio questa settimana infatti si sarebbero dovuti tenere i loro primi concerti in Giappone, con tre date promozionali a Tokyo ed una a Kanazawa, tutto purtroppo inevitabilmente rimandato a data da destinarsi.
Invece per quanto concerne lo sport come molti sanno i Giuda non sono nuovi ad accostamenti con il mondo del calcio per via della loro fede romanista che li ha ispirati nel primissimo dei loro successi, il brano che apre il loro disco di esordio, ’Number 10” dedicato ovviamente a Francesco Totti (che li ha anche incontrati e ringraziati personalmente), per non parlare di quella volta che il presidente James Pallotta si presentò ad un loro show a New York. Tuttavia con Tenda non parleremo di calcio, vabbè un po’ sì, parleremo però soprattutto di basket, perché quello che non tutti sanno è che prima di diventare a tempo pieno il cantante dei Giuda giocò, ma soprattutto lavorò a più livelli nel mondo della pallacanestro, ma scopriamo tutto insieme a lui, ovviamente mentre ascoltiamo la sua playlist…
Allora partiamo dalle basi, la maggior parte del pubblico che segue i Giuda conosce molto bene la vostra passione per il calcio, il primo brano del vostro primo disco ‘Racey Roller’ parla chiarissimo, si chiama ‘Number 10’ ed è dichiaratamente dedicata a Francesco Totti, con tanto di videoclip girato nel campo da gioco dove tirò i suoi primi calci alla palla. Come nacque quel brano?
“Come tutti i brani dei Giuda, N10 nasce dall’esigenza di raccontare storie del nostro vissuto quotidiano, la passione per il calcio e per la Roma in particolare è parte della nostra vita e quindi inevitabilmente qualcosa a riguardo doveva finire in una canzone. Inoltre abbiamo avuto la fortuna di vivere in diretta la storia di uno dei calciatori più forti della storia, omaggiarlo per le tante emozioni regalate è stato naturale”.
Nel secondo album il binomio musica-sport si è molto rafforzato, tra i brani più caratteristici c’è ‘Get That Goal’ (con la batteria che imita il tipico ritmo dei tamburi da stadio ed uno stralcio di telecronaca che racconta una fantomatica azione calcistica con protagonisti i membri della band e te che fai goal), inoltre nella copertina indossate divise e protezioni da football americano. Come si è sviluppata questa contaminazione? E’ stata una cosa studiata o l’avete modellata da quel sentimento primordiale?
“Caro Nick non ti vedo preparato! Le protezioni rimandano più al roller derby, sport che per altro nessuno di noi ha mai avuto neanche la lontana idea di praticare… (ride) Fare le foto con quei pattini ai piedi e stato un calvario! Scherzi a parte, abbiamo fatto questa scelta perché fa parte di un certo immaginario anni ’70 che va dalla musica ai b-movies e che è parte delle influenze del gruppo.
Per tornare alla.tua domanda, una certa continuità nei contenuti c’è tra il primo ed il secondo album, anche se un certo cambio di direzione cominciava già a farsi notare, specialmente a livello di produzione e scrittura. Nulla di studiato, ma naturale proseguimento di un percorso”.
Adesso però lasciamo stare il calcio e veniamo a te, perché prima di capire che la musica sarebbe potuta diventare la tua carriera principale lavoravi in ambito sportivo. Esattamente di che ti occupavi?
“Ho iniziato a giocare a pallacanestro da piccolo, a sei anni. A livello giovanile sono stato anche un ottimo giocatore, sono stato nel giro di varie selezioni fino a che, un po’ per carattere un po’ perché il tarlo della musica cominciava a farsi strada prepotente, ho mollato e il bello dello sport è che quando molli sei tagliato fuori dal giro che conta . Ci trovo molte analogie con la musica…
Sono rientrato nel mondo agonistico in seguito all’iscrizione all’Istituto Superiore di Educazione Fisica. Mi si è aperto un mondo, ho studiato come mai avevo fatto prima e sono rientrato sui campi ancora prima di finire il corso di laurea per allenare, prima come assistente e poi come preparatore atletico.
Una volta laureato ho avuto la fortuna di lavorare con tantissimi giovani di buone prospettive, alcuni di loro hanno anche avuto la loro occasione di farsi strada nello sport professionistico. Ho avuto pure una bella esperienza nella pallacanestro in carrozzina al Santa Lucia sport di Roma, gloriosa compagine di livello mondiale. L’altro amore della mia vita poi è la scuola, alternando incarichi da insegnante di educazione fisica al sostegno. Mi piace tantissimo la scuola e lavorare con i ragazzi”.
Ricordo sempre che nella nostra prima intervista mi raccontasti di quel periodo della tua vita in cui con i Giuda le cose si iniziavano a mettere bene, ma non ancora così bene da poter mollare tutto e vivere di musica, un limbo logorante che molti artisti conoscono e spesso rappresenta un vero crocevia nel cammino della loro vita.
In particolare ricordo un esempio che mi facesti: “magari mi capitava di fare il concerto ad Alessandria finire all’una e mezza, andarmene in albergo, ripartire alle 4, arrivare in aeroporto, volare a Roma e alle 8 ripartire con la società che doveva andare a fare la trasferta a Firenze!” C’è una canzone ricorrente che ti rimanda a quel periodo della tua vita e te lo ricorda nel bene e/o nel male?
“Pinball Wizard degli Who e Surrender dei Cheap Trick erano canzoni che mi accompagnavano spesso in quel periodo.
Non è stato un periodo facile, il lavoro ed i concerti sempre più numerosi. Ad un certo punto non sapevo più che inventarmi per giustificare le assenze e, come ricordavi tu, gli incastri per cercare di fare tutto erano sempre più folli! In più non ero mai a casa, tra scuola, squadra e band… non era più fattibile, quindi la via della passione e della povertà hanno vinto”.
Immagino che anche te avrai giocato a basket, in che ruolo e fino a che punto sei arrivato? Dicci qualcosa del Tenda giocatore.
“Come ti dicevo ottimo giocatore fino ai 16 anni, anche se sono sempre stato nel giro di Roma, tra cui apparizioni nelle selezioni dell’allora Basket City alla corte di Roberto Castellano, quello che ha “costruito” Andrea Bargnani e gli ha consegnato le chiavi per andare in NBA, giusto per dire…
Poi la pausa e tanto divertimento dopo in categorie minori. Per parlare di campo, nasco guardia (non quella in divisa!) ma poi mi sono adattato a fare il playmaker anche se non ne ho mai avute le capacità secondo me, buona penetrazione, tiro discreto ma nulla più. Ho finito con il giocare da 4 vicino al canestro, più che altro perché sono sempre stato uno che non si è mai tirato indietro sui contatti pesanti, anzi, quindi mi divertivo a prendermi a “sportellate” con chi mi dava più di qualche kg e centimetro”.
Che musica ascoltavi da ragazzo? C’è una canzone che rappresenta la tua adolescenza da sportivo?
“Beh prima di dedicarmi alle scorrazate punk con Lorenzo (Moretti, chitarrista ed altro membro fondatore dei Giuda) & company, ero fissato con il metal, o meglio con Iron Maiden e Metallica. C’erano queste due cassette che giravano e che Lorenzo aveva ricevuto da suo cugino: ‘The Number of the Beast’ e ‘And Justice for all’…micidiali! In più il mio vicino di piazzola in campeggio era un metallaro accanito e per due estati di seguito mi fece sentire di tutto e di più, era un mondo che mi affascinava. Ti parlo che avevo 11 o 12 anni. Poi sono arrivati i Ranones, i Sex Pistols e hanno spazzato via tutto! L’amore per Maiden e Metallica comunque rimane, hai visto mai che faccio un disco solista metallico… (ride)”.
Invece c’è una canzone o più di una che in un certo senso simboleggia o ti ricorda perché alla fine la tua vita si è indirizzata dalla parte della musica rispetto al basket? Magari quella che ha significato una svolta, che fosse motivazionale, tipo una che hai ascoltato in un certo momento e ti ha fatto convincere del fatto di volerle tentare tutte con la musica, oppure quella che ha rappresentato il passaggio totale verso la musica come lavoro a tempo pieno.
“Devo dire che il pensiero di fare questa vita a tempo pieno c’è l’ho avuto chiaro fin dagli inizi, è sempre stato il mio sogno, il mio obiettivo. L’aver poi deciso di mollare lavori e quant’altro è stato più un insieme di eventi che si sono succeduti rapidamente e che mi hanno indirizzato là dove volevo essere spinto.
È stata una scelta tra virgolette facile, ma dura allo stesso tempo, non è facile vivere di musica in Italia, specialmente con quella che facciamo noi. Ti complica tutto, devi avere rapporti solidi con quelli con cui condividi la tua vita, perché saranno le prime persone a subire tutto il peso della situazione quando le cose non vanno.
Non ci sono canzoni in particolare che associo a questa decisione, sono uno che ascolta tanta musica ma che allo stesso tempo cambia il gusto del momento in continuazione.
Posso dire che il punk negli anni è rimasto sempre il punto di riferimento, la velocità e la cattiveria dei primi Boys, per citare alcuni brani direi ‘tonight’, ‘living in the city’, ‘talking’, i Kids con ‘do you love the nazis’, ‘I wanna get a job in city’, ‘fascist cops’ o ‘Borstal Breakout’ degli Sham 69, questo è quello che non mi stancherà mai. Mi ci ritrovo anche adesso a 40 anni suonati, semplici, diretti senza merletti, adrenalina pura”.
Nell’immaginario collettivo il basket si sposa con generi musicali più rappresentativi e vicini alla cultura afroamericana, l’hip-hop su tutti, o comunque siamo in quell’ambito, io ad esempio se dovessi dirti la prima canzone che mi viene in mente ti direi probabilmente ‘I believe I can fly’ di R.Kelly pensando a Michael Jordan e Space Jam, tu invece che tipo di musica o che canzoni associ di più al basket?
“Penso che ognuno associ la musica che più preferisce allo sport che ama. Gli accostamenti con preconcetti non mi piacciono. Si pensa al basket e subito esce il binomio neri-hip hop… un po’ come una giornalista de il Manifesto che anni fa mi chiese quasi con disappunto: tu sei di origine africana perché suoni punk e non hip hop e reggae? Come se un nero che suonanva punk fosse quasi fuori luogo… Me la sarei aspettata da fenomeni tipo Salvini domande del genere! Forse è per questo che prende così tanti voti, ahimè
Tornando a noi, avevo un allenatore che faceva allenare la squadra con il blues (abbastanza singolare) altri che facevano esercitazioni di tiro su basi pop. È tutto relativo e legato a quello che vuoi tirare fuori dagli atleti in quel momento. Diciamo che accantonerei in questo frangente soul e rock anni 60, sicuramente non credo si sposi con la psichedelia, magari potrebbe starci bene un certo funky… che so ‘Chameleon’ di Herbie Hancock o ‘Underdog’ di Sly and the Family Stone.
Per me dagli Ac/Dc ai Bad Religion suona tutto bene su un playground! Ci vogliono i bpm per fare sedute di tiro sotto sforzo e tirare fuori tutto agli atleti anche se non ne hanno più! (ride)”.
Ricordi qualche canzone in particolare con cui eri solito allenarti o caricarti prima di giocare?
“Ti sembrerà strano ma sono uno dei pochi forse che non ama ascoltare musica prima della gara. Preferisco il silenzio quando è possibile, ho sempre avuto la necessità di concentrarmi sulle fasi della partita, i movimenti, le alternative. Sai come si dice, giocare il match nella testa prima di scendere in campo. Questo sia da giocatore, ma ancora di più da allenatore”.
Da allenatore invece hai mai usato musica durante gli allenamenti? Se sì quali canzoni?
“Una playlist da riscaldamento? Non credo di essere bravo in queste cose, ho messo i dischi con Lorenzo (Moretti, ndr) al vecchio Sonica mille anni fa e mi ha interdetto alla console… comunque: ‘Dead Girls’ dei Romford Stompers (purtroppo non presente su Spotify), ’Problem Child’ degli Ac/Dc, ‘Boston babies’ degli Slaugther and the Dogs, ’Baby that’s alright’ dei Kids, ’Motorbreath’ dei Metallica, ’Holiday in Cambodia’ dei Dead Kennedys, ‘Your phone’s off the hook, but you’re not’ degli X, ‘Prowler’ degli Iron Maiden e per chiudere in scioltezza ‘Knock down the Doors’ dei Professionals (neanche questa presente su Spotify)”.
Ti è mai capitato invece di consigliare una canzone per farsi forza a qualcuno che doveva recuperare da un infortunio? Se non l’hai mai fatto ce ne sarebbe una adatta? Se sì, quale?
“No non mi è mai capitato , ma se dovessi e so di essere banale, sarebbe ‘its a long way to the top’ degli Ac/Dc!”.
Tuo figlio al momento è più interessato alla musica o allo sport?
“Mio figlio ha 9 anni e sicuramente è più interessato allo sport, gioca a basket anche lui, ma la musica lo attira molto. Cerco di non pressarlo e lasciarlo libero di scegliere, anche quando devo mandare giù qualche boccone amaro (Ghali e trap varia sono sempre dietro l’angolo), ma devo dire che sta maturando ottimi gusti, va da Michael Jackson agli Ac/Dc, dai Ramones ai Clash fino ad avventurarsi ogni tanto nel metal, non mi posso lamentare! (ride)”.
In futuro pensi che la musica e/o i testi dei Giuda si sposeranno ancora con la dimensione sportiva?
“Non lo so. Non siamo un gruppo che programma, i dischi sono sempre figli dei momenti che si vivono. Lo è stato per Racey Roller così come per E.V.A. Vedremo cosa ci suggerirà la vita quando rientreremo in studio e temo che di argomenti ne avremo tanti, visto come vanno le cose ultimamente…”.
Chi è stato il tuo giocatore di basket preferito?
“Da ragazzino ero innamorato di Magic Johnson, poi anche io mi sono dovuto piegare a MJ !!!”.
C’è una canzone, dei Giuda o di chi vuoi, che dedicheresti a Kobe Bryant?
“‘Number 10’ penso possa essere letta in senso universale, è l’elogio ad un campione e può essere intesa come la celebrazione dei campioni in senso più ampio. Totti ci ha regalato classe ed emozioni, così come ha fatto stropicciare gli occhi a tutto il mondo KB con le sue magie e la sua passione”.
Ultima domanda, questa è una curiosità su una mezza leggenda metropolitana che mi è stata raccontata qualche tempo fa: è vero che prima di scrivere il testo del vostro brano ‘Wild Tiger Woman’ nel ritornello al posto di queste parole cantavate “forza la Roma”?
“(Ride) beh questa è davvero una chicca! Io davo la paternità a Solferino (Claudio Solferino, chitarrista della band Human Race, grandissimo amico e fan dei Giuda) e al suo vocione in prima linea sotto palco…”.