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“Il primo sentore di pericolo l’ho avuto il lunedì quando Putin ha fatto la conferenza stampa riguardante il Donbass, il primo segnale era inequivocabile, io da quella sera sono andato a dormire nell’hotel dove di solito facciamo i ritiri pre partita. Io e altri miei collaboratori eravamo arrivati a Kiev da qualche giorno dalla Turchia dove eravamo in ritiro. L’altra giornata in cui avevo capito che le cose si mettevano male era quando dalla Bielorussa continuavano ad arrivare delle truppe russe, la Bielorussia è sopra Kiev e non potevano essere le esercitazioni normali che diceva Putin”. Questo è il racconto di Roberto De Zerbi, allenatore dello Shakhtar Donetsk, ora in Italia dopo le ore di incubo vissute a Kiev, sotto assedio dell’esercito russo. L’ex Sassuolo insieme ai componenti italiani dello staff è rientrato in Italia oggi pomeriggio ed è stato ospite di Francesco Facchinetti, Sabrina Scampini e Gibba nel programma “105 Kaos” in onda su Radio 105. “Quando ero lì non ho avuto il tempo di pensare, adesso arrivato in Italia avrò il tempo di rivedere nella mia testa quello che è stato, probabilmente avrò il ritorno emozionale di quei momenti nei quali ho pensato solo che avevo delle responsabilità. È vero che faccio l’allenatore e l’allenatore non deve per forza averne fuori dal campo, però io e il mio staff tutto compatto ci siamo messi a servizio dei calciatori che hanno l’età dei nostri figli”.
Poi un racconto della quotidianità sotto le bombe: “Le giornate erano di 24 ore, ma passavano molto molto lentamente anche perché non dormivi, la notte si sentiva di tutto. Io dormivo in camera per avere la possibilità di capire cosa succedeva fuori dall’hotel e solo all’occorrenza andavo nel bunker. Senza farsi prendere dall’ansia cercavamo di organizzare la fuga cercando di essere lucidi; la fuga uno poteva farla quando voleva, almeno fino a quando non è entrato in vigore il coprifuoco, però la fuga voleva dire anche stare 4, 5 giorni sulla strada senza scorte di cibo, di acqua, i benzinai erano presi di assalto e quindi non potevi fare scelte dettate solo dalla paura. Dovevi rimanere tranquillo, preparare le mappe degli itinerari che dovevi seguire. L’Ambasciata nostra ci ha aiutato per quello che poteva, eravamo oltre 2000 italiani. Siamo tornati a casa grazie all’impegno del presidente della Uefa Ceferin che è stato di un’umanità, di una sensibilità incredibile, ha organizzato tutto nei minimi dettagli e anche l’Ambasciata ci ha trattato bene”.
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Sulle paure: “Non quella di non tornare – spiega – Paura invece che saltasse la linea internet, che staccassero la luce in città, che mancasse l’acqua calda, che finissero le scorte di acqua e di cibo, queste cose sì, queste paure le ho avute. Ho avuto paura che il treno durante il tragitto potesse fermarsi per un guasto e in Ucraina adesso fa davvero freddo. Nel nostro hotel c’erano dei giornalisti inglesi della BBC che ci dicevano di stare tranquilli perché era quasi impossibile che colpissero volontariamente i civili”. Sul popolo ucraino: “Mi ha molto stupito, a Kiev sono tutti pronti a combattere perché loro stanno difendendo la libertà e chi difende la libertà parte avvantaggiato. Poi è chiaro che la differenza di potenziale di armi sposta tutto. Io porto con me l’attaccamento al proprio territorio, l’orgoglio di queste persone. Per quello che ho visto io, possono continuare non si sa per quanto perché sono davvero tosti: il campione di pugilato si è messo a combattere, un mio magazziniere giovane, con una figlia piccola, ha preso il fucile pronto a combattere. E’ gente di un orgoglio, di una generosità…”
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