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C’è poco da dire, budget cap o meno, penalità giuste o sbagliate, fortuna o sfortuna. Se in una sola stagione vinci quattordici gare (più le due di Perez) sulle venti fin qui disputate, ci si può solo alzare in piedi e applaudire. Max Verstappen fa 14 dopo aver fatto tredici, diventa il più vincente di sempre in una singola stagione di F1, domina anche in Messico in una gara – va detto – abbastanza piatta – e doppia tutti tranne Mercedes e Ferrari.
Gestione perfetta della Red Bull, che non si scompone dinnanzi ai tentativi di Hamilton di provare a stravolgere la propria strategia passando sulle hard, e fa fruttare molto bene le medie a disposizione. Una sola sosta senza montare le gomme bianche: un piccolo capolavoro, reso più facile dalla perfezione raggiunta dalla vettura del team austriaco. Gestione pura con l’olandese, che tiene un passo da metronomo e sfrutta bene il pit stop per tener tutti dietro senza poi doversi fermare di nuovo.
Lo aiuta l’idolo di casa, Sergio Perez, che dopo aver sostituito le gomme fa vedere alcuni giri da qualifica che gli consentono di disturbare la finestra del pit stop di Hamilton, che così come Russell avrebbe voluto allungare il primo stint a dismisura per poi chiudere con le aggressive gomme soft. Niente da fare, c’è una macchina che va più forte delle altre e c’è un pilota che ha riscritto la storia. Ma da applausi comunque la Mercedes, che trova consistenza e punti.
Lo stesso non si può dire di una Ferrari disastrosa e tornata improvvisamente nel pacchetto di mischia. E’ probabile, se non certo, che per l’aria rarefatta di questo circuito dedicato ai fratelli Hernandez si sia deciso per un abbassamento dei giri del motore, allo scopo di evitare rotture improvvise. Ma questo è un problema per tutti qui, e gli altri andavano veloci rispetto alle proprie possibilità. Il passo indietro, anzi, tre passi indietro, lo ha fatto solo il Cavallino, con entrambi i piloti mai inquadrati, mai in lotta se non tra loro al primo giro rischiando la frittata. Quinto Sainz, sesto Leclerc, entrambi rabbuiati per essere finiti a oltre un minuto dal leader.
Preoccupante davvero l’involuzione in questa gara, il punto più basso di questo Mondiale che è svoltato improvvisamente a cavallo della pausa estiva. Anche la Mercedes ora fa meglio della Ferrari, ma in Brasile tra due settimane potrebbe essere un’altra storia. Due gare alla fine, l’obiettivo è quello di vincerne almeno una e salvare la faccia, o i giudizi positivi della prima metà di stagione dovranno irrimediabilmente lasciare il posto a un’analisi francamente negativa di questa annata in cui il grosso potenziale (e le qualifiche, al di là del Messico, lo dimostrano) non è stato fatto fruttare a dovere.
Una nota a margine su Gasly: è vero che lascerà fra poco l’AlphaTauri, alla quale comunque deve tutto, e arriverà in una Alpine in cui sono volati stracci per il settimo ritiro di Alonso, ma così rischia di lasciare vuoto il suo sedile il prossimo anno. L’ennesima penalità subita, netta per un tentativo di sorpasso decisamente no sense, con altri due punti persi nella “patente”, rischia ora di avvicinarlo prepotentemente al limite di 12. Fino a maggio 2023 non potrà scartare alcun punto, dunque il rischio per lui di saltare una delle prime sette gare il prossimo anno è altissimo. Pierre, si dia una calmata.
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