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La Formula 1 viene da sempre considerata la ‘classe regina’ dell’automobilismo, con dei piloti che si impersonano in eroi all’interno di monoposto che sfrecciano per i circuiti di tutto il mondo. Punte di velocità sui 350 km/h, staccate paurose in curva e traiettorie studiate al limite per guadagnare quel decimo in più, sulla concorrenza, che può fare un’immensa differenza. Un discorso perfetto nel contesto delle qualifiche che in questo Mondiale 2018 hanno visto un salto qualitativo pazzesco che ha permesso ai vari piloti di sgretolare i precedenti record del tracciato. Un discorso completamente differente se invece entriamo nel contesto della gara domenicale dove la troppa gestione penalizza la velocità ed allo stesso tempo lo spettacolo.
Certo, se proprio vogliamo trovare un ‘colpevole’ non possiamo puntare il dito contro i piloti che tutto ciò che devono fare è portare la propria macchina, integra, al traguardo nella speranza di centrare il miglior risultato possibile. Non possiamo nemmeno dare la colpa ai team che, con mesi di anticipo, studiano la scelta delle mescole per un determinato tracciato provando ogni soluzione per poi attuare la strategia perfetta in gara, senza rischiare più di tanto in soluzioni avventurose. La colpa, probabilmente, è del regolamento che costringe le scuderie a studiarsi l’una fra l’altra consentendo poche opzioni su cui variare. La motivazione principale? Certamente il regolamento del cambio mescola e la conseguente gestione ‘estremizzata’.
Nel corso degli anni i fornitori ufficiali hanno aumentato la gamma di mescole fino ad arrivare ad una soluzione davvero ampia e mutevole nel corso dei vari Gran Premi: media, soft, supersoft, ultrasoft, hypersoft oltre alle classiche gomme da bagnato (full-wet e intermedie). Nelle varie gare la Pirelli fornisce tre tipi di gomme che i team selezionano con largo anticipo rispetto alla data del Gran Premio, potendo variare sul numero di un determinato tipo di mescola. L’estremizzazione della gomma soft, ‘ammorbidita’ con altri tipi di mescola, ha portato ad un notevole miglioramento nel riscontro cronometrico che nel corso degli anni ha limato i vari record dei tracciati. Non a caso la maggior parte dei record in qualifica sono datati 2017 e 2018. Il reale problema viene sollevato nelle gare domenicali quando il regolamento ‘limita’ la velocità delle monoposto costringendo i team ad una ferrea gestione.
Il regolamento parla chiaro: in partenza, salvo pioggia, viene utilizzata la gomma con la quale il pilota si qualifica dal taglio del Q2. In gara la mescola in questione deve essere per forza sostituita con un’altra di categoria differente per poter rispettare il requisito della ‘classificazione’ nell’ordine d’arrivo al termine del Gran Premio. L‘obbligo della sostituzione di un’unica mescola ha portato le scuderie a non prendersi eccessivi rischi, impostando numerose gare su un’unica sosta e individuando una sola finestra di pit-stop per poi proseguire il GP fino alla bandiera a scacchi. Quali sono i risultati? Analizziamoli con i risultati dei ‘fastest lap’ dei vari circuiti.
- GP Australia – Michael Schumacher 1:24.125 (2004)
- GP Bahrain – Michael Schumacher 1:30.252 (2004)
- GP Cina – Michael Schumacher 1:32.238 (2004)
- GP Azerbaijan – Sebastian Vettel 1:43.441 (2017)
- GP Spagna – Daniel Ricciardo 1:18.441 (2018)
- GP Monaco – Max Verstappen 1:14.260 (2018)
- GP Canada – Rubens Barrichello 1:13.622 (2004)
- GP Francia – Valtteri Bottas 1:34.225 (2018)
- GP Austria – Kimi Raikkonen 1:06.957 (2018)
- GP Gran Bretagna – Lewis Hamilton 1:30.621 (2017)
- GP Germania – Kimi Raikkonen 1:13.780 (2004)
- GP Ungheria – Michael Schumacher 1:19.071 (2004)
- GP Belgio – Valtteri Bottas 1:46.286 (2018)
- GP Italia – Rubens Barrichello 1:21.046 (2004)
- GP Singapore – Kevin Magnussen 1:41.905 (2018)
- GP Russia – Kimi Raikkonen 1:36.844 (2017)
- GP Giappone – Kimi Raikkonen 1:31.540 (2005)
- GP Stati Uniti – Sebastian Vettel 1:37.766 (2017)
- GP Messico – Sebastian Vettel 1:18.785 (2017)
- GP Brasile – Max Verstappen 1:11.044 (2017)
- GP Abu Dhabi – Sebastian Vettel 1:40.279 (2009)
I dati parlano chiaro: un tempo erano i reali piloti più veloci a siglare il giro veloce nonché il record della pista, in tempi recenti, invece, sono i piloti che ‘rincorrono’ a sgretolare i vari record. In neretto sono sottolineati i nuovi fastest lap siglati nel 2018 tra cui spicca, soprattutto, quello di Kevin Magnussen, diciottesimo al traguardo del Gran Premio di Singapore. L’elenco degli altri dalla Spagna a Monaco, passando per Francia, Austria e Belgio, sono stati registrati perlopiù da piloti chiamati alla rimonta nei giri finali, spesso ‘aiutati’ dalla gomma fresca montata nel finale di gara. Un vero e proprio paradosso: la Formula 1 più veloce di sempre che non riesce, anzi non vuole, superare i limiti del passato per l’eccessiva gestione. La nuova gestione americana (Liberty Media) fin dallo scorso anno ha lavorato sodo per rendere il motorsport ancor più vicino al pubblico variando tanto: logo, stile, nuove visuali, eventi, passando per l’integrazione dell’halo nelle monoposto (a protezione della testa del pilota) ed all’abolizione, seppur parziale, delle grid girls.
In tutto questo, però, il regolamento mostra alcune ‘mancanze’ ed imprecisioni che fanno discutere. Su tutte alcune situazioni di gara gestite e talvolta punite in maniera differente a seconda della composizione dei commissari di gara, elementi che non agevolano l’uniformità. Poi l’obbligo del cambio mescola che se incrementato, magari con una sosta ulteriore, potrebbe riportare imprevedibilità all’interno delle gare con i team che avrebbero un margine superiore per poter studiare le proprie scelte. Senza tenere conto ai piloti che sarebbero ben felici di poter utilizzare la gomma al massimo per spingere e togliersi lo sfizio, magari, di demolire il record della pista. Un record che oggi, purtroppo, rappresenta solamente una ‘magra consolazione’ per coloro che al termine della gara non hanno nulla da perdere. Vince chi va più veloce o vince chi gestisce meglio? La Formula 1 non è una gara di ‘endurance’.