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I supereroi hanno una caratteristica in comune: sono invincibili. Combattono, faticano, lavorano, e alla fine vincono sempre loro. Non c’è kryptonite che tenga, non c’è nemico che possa impedire loro di raggiungere gli obiettivi prefissati.
I supereroi, però, sono spesso chiamati a fare i conti anche con il proprio aspetto emotivo. Il più delle volte parliamo di uomini (almeno a metà), tutt’altro che privi di debolezze, tentazioni e vuoti incolmabili. Anche nel modo in cui riescono a gestirlo sta la loro superiorità, tale da portarli comunque, in un modo o nell’altro, all’apoteosi del successo.
Per i giocatori e gli appassionati di tennis della seconda metà degli Anni Novanta, in Italia e non solo, il supereroe era Gianluigi Quinzi. Alto, biondo, mancino. Spalle un po’ strette ma, come sottolinea Francesco De Gregori, ciò non rappresenta un ostacolo significativo per il futuro del ragazzo. Si farà.
Nato a Cittadella il 1° febbraio 1996 ma radicato sin dalle origini a Porto San Giorgio, GQ cresce tra i campi in terra rossa del circolo di famiglia nella località della costa marchigiana e quelli in cemento della Nick Bollettieri Tennis Academy, a Bradenton, in Florida. Il suo inglese è fluente come il suo italiano. Di lui si dice: “Nick l’ha preso sotto la sua ala come fece con Agassi e con la Sharapova, diventerà un campione”.
E in effetti i risultati, sin dai primi tornei da bambino, sono strabilianti. Quinzi vince ad ogni latitudine, sbarazzandosi spesso anche di avversari più grandi di lui. Chi lo guarda rimane estasiato: sembra un piccolo professionista.
Il nome inizia a circolare, la curiosità dilaga, la stampa gli dedica titoli e prime pagine. Per i più è il nuovo craque dello sport italiano, ci farà sognare. Senza limiti. Anche perché i trionfi si moltiplicano a dismisura con una rapidità disarmante e, tra i vari riconoscimenti ricevuti, viene eletto nel 2010 Player of the Year dalla European Tennis Association.
Si avvicinano le prime esperienze in ambito professionistico e le premesse per una ascesa prodigiosa nel circuito ATP ci sono tutte, compresa la fiducia di una famiglia che ha sempre creduto in lui. “Il papà di Quinzi ha detto che se non arriverà in top 3 sarà un fallimento” è la frase che gira – indipendentemente dal fatto che fosse stata realmente pronunciata o meno – quando si parla del ragazzo ai tornei nazionali ed internazionali dei “comuni mortali”, perché Gianluigi gioca solo le manifestazioni d’élite e per conoscerlo personalmente, per allenarsi insieme a lui, le occasioni sono poche. Anche solo scambiarci due chiacchiere tra quattordicenni è una missione quasi impossibile, a differenza delle svariate situazioni goliardiche che si creano quando i piccoli tennisti italiani e stranieri si incontrano fuori dal campo instaurando rapporti che potrebbero durare per sempre.
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Quinzi cresce in una bolla. Più forte e più solo di tutti. È la promessa d’Italia, ma l’Italia lo conosce? E lui, giramondo imbattibile, ha mai “staccato la spina” vivendo anche solo per due ore un’esperienza da teenager di quelle tanto banali quanto importanti per diventare poi uomo, magari campione, con un bagaglio non eccessivamente povero?
Poco importa, la strada pare tracciata e di tale strada una tappa significativa è datata 7 luglio 2013: dopo vent’anni un italiano torna a conquistare un titolo Slam under 18. Si tratta di Wimbledon Junior e nome e cognome di colui che firma l’impresa senza perdere un set dall’inizio alla fine del torneo sono noti. “Chissà tra quanti anni gli vedremo alzare al cielo il trofeo dei grandi” ci chiediamo. È il numero 1 della classifica mondiale Junior. È il più forte di tutti.
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Incredibilmente, però, lanciato nel mondo dei professionisti il supereroe diventa umano. Nei Futures i risultati arrivano (un titolo nel 2013, tre nel 2014, due nel 2015), ma la sensazione del Quinzi dominante inizia pian piano ad affievolirsi agli occhi del mondo. GQ gioca bene, ma è “leggerino”. Di rovescio ha un tempo sulla palla da fare invidia ai migliori, la mano è delicata dalla nascita, il resto non convince. Non è il giocatore completo pronto a raggiungere di prepotenza i vertici del circuito mondiale per mettere in discussione la leadership delle leggende del tennis contemporaneo. La critica ci mette poco a sfoderare l’italica severità che la contraddistingue, il personaggio perde appeal in positivo e ne guadagna in negativo. Ma lui cosa dice? Lui cosa pensa?
Poco si indaga sull’animo di un ragazzo che non è mai stato bambino e che decide di cambiare allenatore con la velocità del classico presidente di medio-bassa classifica di Serie A, lui che il calcio non lo segue nemmeno. In pochi anni si è passati dal “tutti per uno” all’”uno contro tutti”: da una parte un tennista che lavora giorno dopo giorno con l’obiettivo di replicare gli straordinari successi conquistati nella carriera giovanile, dall’altra l’Italia del tennis che pretende da lui il tutto e subito, come se le sue mancate vittorie fossero sconfitte di cui doversi vergognare, dopo che per un decennio i suoi trionfi sono stati oggetto di condivisione per un popolo intero.
Nonostante qualche lampo ad accendere la speranza degli inesauribili aficionados che credevano ancora nella sua esplosione, il salto di qualità non arriverà mai. La carriera di Quinzi si chiude con due titoli Challenger, dodici titoli Futures, il best ranking di numero 142 ATP raggiunto ad aprile 2019 e zero presenze nei tabelloni principali delle prove Slam. L’ultima partita da lui disputata a livello internazionale rimane il secondo turno dell’ITF $15.000 di Villena, in Spagna a novembre 2020, persa per ritiro sul punteggio di 6-2 2-0 in favore del suo avversario, l’iberico Carlos Lopez Montagud, numero 689 del mondo.
Ora per Gianluigi inizia una nuova vita, o forse adesso Gianluigi potrà iniziare a vivere. “Chi me lo fa fare di continuare a giocare così?” dice pochi mesi prima di laurearsi in Sports Management. Perché il tennis gli ha dato tanto e lui ha dato tanto al tennis, e sarà giusto che un giorno possa passare a riscuotere togliendosi soddisfazioni professionali fuori dal rettangolo di gioco. Senza più la racchetta in mano.
È la “morte” di Quinzi, campione di tutti ma mai di se stesso. La fine del talento dal destino segnato che non ha mai avuto il tempo di presentarsi. È il momento di lasciar esprimere l’uomo, dopo aver assaggiato l’essenza del supereroe. Che sia un nuovo inizio. Buona fortuna, Gian.
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