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Gli All Blacks, per una sorta di legge divina scritta più di un secolo fa dalle forze ancestrali del rugby, non possono sbagliare due partite consecutive. L’invincibilità, certo, non è di questo mondo. Ma questa squadra è sempre a un passo dal raggiungerla. Che non avessero ancora digerito la sconfitta della settimana scorsa contro l’Irlanda, si era capito subito. E hanno attaccato il prato dello stadio Olimpico con la voglia di cancellare il passato e l’avversario.
Peccati di gioventù di una squadra che sta crescendo. Non è stata una Nuova Zelanda B quella che ha affrontato l’Italia e l’ha battuta con il punteggio di 10-68. E’ stata, piuttosto, la Nuova Zelanda del futuro, quella della nuova generazione di fenomeni. Il suo commissario tecnico, Steve Hansen, dallo stesso sguardo imperscrutabile di un politico sovietico in un film di spionaggio, lo ha detto chiaramente, lasciando intravedere lo spessore dei XV (più cambi) che ha fatto scendere in campo contro l’Italia: “Non posso dire se la nuova generazione sia più forte di quella precedente. Il loro obiettivo, però, deve essere quello di fare meglio di chi li ha preceduti”.
Una sentenza che si è abbattuta su Roma e sui suoi straordinari 60mila spettatori. A scendere in campo contro gli All Blacks è stata, citando Fossati, la “costruzione di un’Italia”. Il cartello work in progress che il nuovo ct Connor O’Shea ha appeso al proprio progetto è ben leggibile negli sguardi dei colossi azzurri in zona mista.
Non hanno abbassato la testa. Hanno semplicemente analizzato con lucidità il loro momento. Una partita del genere, prestigiosa, affascinante, ma anche impossibile, può lasciare ferite aperte per molto tempo, se non viene affrontata con lo spirito giusto. Capitan Sergio Parisse lo sa e lo ammette: la squadra sta cercando di rispondere alle sollecitazioni del suo nuovo tecnico, sta lavorando tantissimo e sta affrontando le partite con coraggio e determinazione. I limiti sono evidenti, ma è inutile piangersi addosso: l’importante è ripartire perché la strada è lunga, ma il bivio è a un passo. L’Italia del rugby potrà scegliere di tornare a essere forte o di precipitare nelle secche del declino.
Sguardi un po’ delusi, si diceva. Fa eccezione Tommaso Boni, eroe di giornata per aver messo a segno una meta che ricorderà per tutta la vita: si è presentato ai giornalisti a piedi scalzi e con l’euforia stampata in viso, impaziente di raccontare l’effetto che fa mettere a terra l’ovale dopo aver corso per 40 metri nella prateria lasciata scoperta dagli avversari.
E’ una delle istantanee che ci ha regalato questo straordinario pomeriggio romano di sport. Insieme al brivido che ha percorso l’anima quando gli All Blacks hanno fatto l’haka: la mano, attaccata al cellulare, tremante per l’emozione, è stata la causa di migliaia di video mossi pubblicati sui social da chi era lì. Insieme alla gioia di chi ha percorso migliaia di chilometri per veder giocare i propri beniamini, di chi, pur essendo italiano, ha sempre tifato All Blacks, dei bambini che per la prima volta entravano in uno stadio. Nella ola che percorreva ciclicamente l’Olimpico a intervalli regolari e nell’applauso di Roma all’Italia sconfitta. Anche per questo, azzurri, vale la pena rialzare la testa.