La differenza tra “ho dato il massimo, sono soddisfatto anche se non sono arrivato all’obiettivo” e “avrei potuto e dovuto fare di più”.
Il dispiacere di Benedetta Pilato, la delusione di Larissa Iapichino. Due degli esempi più “commentati”, ma ce ne sono stati tanti altri, di Parigi 2024.
Si tratta di due sentimenti diversi. Non ha senso schierarsi con l’uno o con l’altro. Se Larissa avesse raggiunto il quarto posto con un salto da 7 metri probabilmente sarebbe stata dispiaciuta. Se Benedetta fosse stata eliminata in semifinale presumibilmente sarebbe rimasta delusa.
Non siamo noi a poter decidere come un atleta debba sentirsi. Anzi, è l’errore più grande. Una volta Stefano Massari, noto mental coach di professionisti di vari sport, tra cui Matteo Berrettini, disse una frase che mi colpì molto e a cui, ingenuamente, mai avevo pensato. Tifosi, ma a volte anche tecnici, spesso purtroppo genitori, tendono a dire agli atleti (in alcuni casi figli) come questi dovrebbero sentirsi, come dovrebbero essere. “Non avere paura”, “vai e divertiti”. Si è come si è. Si sente ciò che si sente. Non possiamo trasferire la nostra mente (e il nostro pensiero) in quella degli altri.
Il giudizio esterno sulla prestazione tecnica, sugli errori tattici, ha ovviamente senso di esistere. Il giudizio esterno sui sentimenti no. Mai. Ed è quello che questa Olimpiade sta provando a insegnarci. La vera domanda è: impareremo?