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Jannik Sinner - Foto PATRICK HAMILTON/Belga/Sipa USA
Il 16 agosto del 2002, mentre Jannik Sinner spegneva la sua prima candelina, l’Italia del tennis non navigava esattamente a vele spiegate (eufemismo). Tra i Top 100 ATP, quella settimana, vi era un solo tennista azzurro: Davide Sanguinetti. Andrea Gaudenzi, attuale presidente ATP, aveva appena perso i punti della vittoria a Bastad del luglio 2001, uscendo (anche a causa di parecchi problemi fisici) dal gotha del tennis. La Nazionale di Coppa Davis, passata di mano da un capitano (Bertolucci) all’altro (Barazzutti), aveva abbandonato il World Group (per la prima volta nella storia) dopo i fasti degli anni 90, quando raggiunse due semifinali e una finale con Gaudenzi, Sanguinetti, Furlan e Nargiso. Angelo Binaghi, un anno prima, era diventato presidente della Federazione Italiana Tennis.
L’ANNO MAGICO DI DAVIDE
Sanguinetti è noto ai più per la stagione 1998 quando, oltre alla finale di Coppa Davis (persa a Milano contro la Svezia), raggiunge a sorpresa i quarti di finale a Wimbledon. Ma è nel 2002, sotto la guida di coach Claudio Pistolesi e del preparatore fisico Pino Carnovale, che Davide gioca probabilmente il miglior tennis della sua vita. Dopo una deludente trasferta ‘down under’ Sanguinetti si presenta a fine gennaio sul veloce indoor di Milano. Al secondo turno supera Juan Carlos Ferrero, attuale allenatore di Alcaraz, 3-6 7-6 6-4; lo spagnolo non è uno specialista del cemento al coperto, ma è pur sempre il numero 3 al mondo. Davide, che è scivolato alla piazza 87 ATP, batte in due tiebreak il marocchino El Aynaoui e rimonta un set di svantaggio a Nicolas Escude in semifinale (il francese era fortissimo sui tappeti indoor). Nell’ultimo atto, dall’altra parte della rete, c’è Roger Federer, campione in carica. L’anno prima lo svizzero aveva sconfitto Ivanisevic, Kafelnikov e Boutter per conquistare a Milano il suo primo titolo ATP. Il pronostico è scritto, ma Davide gioca un match da fantascienza e trionfa dominando il terzo set (7-6 4-6 6-1). Quel giorno Sanguinetti si consacra ma non si culla sugli allori, vincendo complessivamente 13 match di fila (ATP di Milano, Challenger di Wroclaw e semifinale nell’ATP di Copenhagen). Ma non finisce qui: Davide a marzo gioca il torneo di Delray Beach. Il suo tennis è nuovamente straripante e arriva in finale. Anche stavolta l’avversario è di quelli tosti, veri: Andy Roddick. Sanguinetti non perdona: 6-4 4-6 6-4. Qualche mese dopo, al Roland Garros, sulla superficie meno congeniale, Davide spaventerà al secondo turno Guga Kuerten in un match in cui l’azzurro si era trovato avanti 2 set a 1. Il 16 agosto 2002 la classifica recita numero 49.
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DA VOLANDRI A SINNER
Gli altri italiani sono indietro, molto indietro: ne sono presenti solamente altri 6 tra la piazza 110 e la 200. L’età media, inoltre, è piuttosto alta. I giovani sono due: il compianto Federico Luzzi, che all’inizio del 2002 era arrivato al numero 93 prima di un grave infortunio alla spalla, e Filippo Volandri, un ragazzo livornese di quasi 21 anni di cui si parla molto bene. ‘Filo’, che nella stagione precedente si era fatto notare sconfiggendo Goran Ivanisevic in Davis (al Foro Italico), è pronto a lanciarsi in una grande carriera. ‘È il giocatore più forte al mondo se si giocasse senza servizio’, dichiara un giornalista inglese quando, nel 2003, Volandri gioca un grande match al Roland Garros contro Carlos Moya perso 7-6 4-6 6-2 6-3. Diritto e rovescio sono eccezionali. Ma già prima, nelle settimane precedenti, il pubblico italiano, assetato di grande tennis (nostrano), si era esaltato: vittoria nel Challenger di Olbia sconfiggendo un giovanissimo Nadal, quarti a Montecarlo (battendo Nalbandian), ottavi a Barcellona e quarti a Roma (perdendo in tre set con Federer, che quattro anni dopo sarebbe stato maltrattato dal suo proverbiale rovescio). Una prima rinascita del tennis italiano prende vita in quelle stagioni, con Volandri accompagnato dall’amico Potito Starace e poi da Andreas Seppi (66 Slam giocati consecutivamente in main draw), Simone Bolelli, Fabio Fognini (17 stagioni chiuse in Top 100 ATP).
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Gli italiani crescono come numero, nel 2013 sono in 6 in Top 100. Un’ulteriore svolta arriva nel 2018, grazie alla sensazionale e sorprendente semifinale al Roland Garros di Marco Cecchinato. Una sorta di porta aperta sull’ignoto, perché da 40 anni (Barazzutti a Parigi nel 1978) in Italia non si vede un risultato del genere. Anche grazie all’apripista ‘Ceck’ arriveranno poi gli exploit di Berrettini e Musetti (compresa la medaglia olimpica a Parigi 2024 che mancava da 100 anni tondi tondi). I Top 100 ATP diventano 8 nel 2019, quando a Lorenzo Sonego e Matteo Berrettini si aggiunge un certo… Jannik Sinner. La data che cambia la storia è il 28 ottobre del 2019: l’altoatesino entra nel gotha e si piazza al numero 93. Il mondo è appena cambiato, anche se in pochi, in quell’istante, se ne sono accorti. I Top 100 ATP italiani oggi sono 11. Un record, un momento che con poca lungimiranza si potrebbe definire ‘irripetibile’. Analizzando l’età media degli azzurri e alcuni ragazzi in rampa di lancio, la sensazione è che tale primato possa essere ancora migliorato.