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Ora o mai più. Per Messi, Mascherano e per la generazione d’oro del calcio argentino la Copa America del Centenario (dal 3 al 26 giugno) negli Stati Uniti è l’occasione di riscattare un destino di promesse non mantenute e illusioni svanite. Ogni volta si rievoca l’ultimo trionfo, quello del 1993 in Ecuador: i gol di Batistuta, il fosforo di Redondo, la “garra” di Simeone e la precisione dal dischetto del “sesto rigorista” Jorge Borelli che regalarono all’Albiceleste il trofeo. Poi solo finali e sconfitte, tre per la precisione, l’ultima lo scorso anno ai rigori contro il Cile. Una maledizione per un gruppo di calciatori “che si sentono i migliori del mondo”, per dirla con l’ex ct Sabella. Una iattura per un popolo di “idealisti febbrili” che – come rimarca il filosofo spagnolo José Ortega y Gasset – collocano la propria vita in un luogo che in realtà non esiste, sempre all’inseguimento di un’idea” o di una vittoria che continua a sfuggire. Il “Tata” Martino, alle prese con l’enigma legato alle condizioni fisiche di Messi, deve trovare un compromesso tattico per far convivere la “Pulce”, Di Maria, Higuain e Aguero. Il battesimo nella coppa per nazionali più antica del mondo è da far tremare le vene ai polsi. La Seleccìon sfiderà il Cile detentore del torneo che, dopo la fuga di Sampaoli, si è affidato a un altro argentino, Juan Antonio Pizzi. Orgoglio e sentimento, lo spirito della Roja è sempre lo stesso: quello dei minatori che rimasero intrappolati 700 metri sotto terra, ha spiegato l’attaccante dell’Atalanta, Mauricio Pinilla. Le speranze cilene sono legate a doppio filo al centrocampista del Bayern Vidal e al gioiello dell’Arsenal Alexis Sanchez sfibrati da una stagione logorante. Ma se girano loro, nessun traguardo è precluso per la Roja.
A caccia di rivincite sportive il Brasile dopo l’1-7 del Mineirazo. Il flop contro la Germania nel mondiale di casa popola ancora i peggiori incubi della torcida verdeoro che non potrà esaltarsi per le giocate di Neymar risparmiato in vista dei Giochi olimpici di Rio. Dunga si affida al bomber del Benfica Jonas (chiamato per sostituire l’ex milanista Ricardo Oliveira) e all’attaccante del Santos Gabigol, già sul taccuino dei direttori sportivi dei principali club europei e candidato ad essere la rivelazione del torneo. Appannata la stella di James Rodriguez, finito in panchina nel Real Madrid: la Colombia non sembra in grado di ripetere l’exploit del mondiale dove fu eliminata nei quarti dal Brasile. Chi, invece, resta fedele al suo stile e ai suoi uomini è il “Maestro” Tabarez che ha cambiato pochissimo l’Uruguay. La Celeste dovrà tener botta nella prima parte della competizione che affronterà senza il suo bomber principe, Luis Suarez. La solidità difensiva è garantita dal torreggiante Godin, il centrale dell’Atletico Madrid che fa la fortuna di ogni allenatore e per il quale non esistono parole migliori di quelle di Daniele Adani, ex calciatore e commentatore di Sky Sport: “Se tra voi ed una porta di calcio c’è di mezzo Godin, allora è consigliabile una strada alternativa: almeno avrete una possibilità”. Tra le 16 nazionali che prenderanno parte alla competizione (per la prima volta) negli Usa ci saranno anche Panama e Haiti, che torna alla ribalta del grande calcio dopo l’esperienza ai mondiali del ’74 col celebre gol di Sanon a Zoff. C’è attesa per gli Stati Uniti dopo 5 anni di cura Klinsmann. Il soccer è ormai una realtà consolidata nel panorama degli sport a stelle e strisce: sponsor, tv, grandi campioni (sul viale del tramonto), l’Mls è un campionato in forte crescita. Per la generazione degli Howard, dei Bradley e dei Dempsey, il miglior goleador della storia del Fulham, è l’ultima possibilità di lasciare un segno. Il Messico del “Chicharito” Hernandez e di Jesus Corona (Porto) è l’outsider che tutti vogliono evitare. Il giovane attaccante della Dinamo Kiev, Derlis Gonzales, potrebbe diventare la sorpresa del Paraguay forgiato dal ct argentino Ramon Diaz, l’indimenticato puntero di Fiorentina, Napoli e Inter. Ma gli occhi di tutti saranno puntati su Messi e sul più grande paradosso del calcio sudamericano: la generazione d’oro del calcio argentino ancora a digiuno di vittorie.