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“Alla presentazione dei portabandiera dissi che avremmo fatto molto bene. Ma ci sono moltissime variabili. C’era un’incertezza, tra le incertezze dello sport: c’era il Covid, che ci obbligati a organizzare un’olimpiade surreale. Molti sport non avevano avuto la possibilità di fare competizioni. In più, la competizione è sempre più difficile, anche in relazione a Stati magari piccoli, ma che riescono a creare una grande tradizione in alcune discipline”. Esordisce così Giovanni Malagò nella conferenza stampa tenutasi presso il Salone d’Onore del Coni per presentare il libro “Tokyo 2020, l’Italia Chiamò!”, scritto da Carmelo Lentino e Roberto Messina. Il presidente del Coni, che del libro ha scritto la prefazione, ha aggiunto: “L’Italia poi vive spesso questa maledizione, per la quale vinciamo tantissimi bronzi, molti argenti e pochissimi ori. Continuo a sostenere che sia ingiusto che per il medagliere si tengano conto soprattutto degli ori, invece del numero totale di medaglie, ad esempio. Noi siamo multidisciplinari, ma in questo modo finiscono avanti Paesi che concentrano le proprie attività su pochissime discipline, per poi sparire in altre”.
Infine, una battuta sull’evoluzione delle discipline che rientrano nel programma delle Olimpiadi: “Non è scontato che sport che c’erano quarant’anni fa ci saranno anche nelle prossime edizioni. Anche gli sport di grande tradizione devono ottenere appeal da parte delle nuove generazioni, altrimenti diventa una cosa romantica, quasi una religione, ma non funziona così”. Al suo fianco, presente anche il ministro per lo Sport e i Giovani, Andrea Abodi, che ha posto l’accento sulla necessità di dare il via a una vera riforma che riguardi, appunto, la cultura dello sport a partire dalle nuove generazioni: “Occorre fare in modo che lo sport rappresenti una parte importante della società: lo sport è uno dei fattori che determina il benessere di una comunità. Questo è un libro che dovremmo portare a scuola. Metà delle scuole non ha una palestra o non ce l’ha adatta, in termini di sostenibilità e accessibilità. Spesso si vince “nonostante”. Le medaglie provengono in gran parte da atleti cresciuti in contesti difficili, e nei quali entra in gioco la voglia di riscatto”.
“Serve un programma didattico che parta dall’insegnamento delle grandi imprese, dalla promozione dei valori, dei principi alla base del mondo olimpico – aggiunge Abodi -. Lo sport deve prescindere dalla politica, nell’ambito di un’autonomia relativa, perché promuove valori che vanno al di là. È importante creare condizioni per fare sport, che ci siano ambienti adatti. Serve un’alleanza, un patto strategico con la scuola. I Giochi della Gioventù rappresentano questo. Non è solo una competizione tra scuole, ma un modo per strutturare due agende che possano produrre effetti che vadano oltre la sfera sportiva. Viviamo di plastica, di elementi che ci allontanano anche se siamo vicini. Viviamo una fase di difficoltà non solo per il problema del calo della natalità, ma anche perché non ci alleniamo più. Negli altri Paesi europei, si arrivano agli appuntamenti studiando, predisponendo i giovani. Stare insieme, occupare gli spazi vuoti, fa parte delle scelte individuali, ma vorrei che i ragazzi e le ragazze possano scegliere tra un ventaglio ampio in cui anche lo sport rappresenti una possibilità importante”.
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