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Da Marco Pantani a Marco Pantani. Quello dei primi anni, ancora non completamente calvo, che alla bandana preferiva il cappellino di tela, che indossava la maglia biancazzurra della Carrera. E poi, quello con la pelata, ormai conosciuto da tutti come il Pirata, in maglia rosa – quasi una seconda pelle, oltre la divisa della Mercatone Uno -, pochigiorni prima del fattaccio. Il primo, nel 1994; il secondo, nel 1999.
Sono le due salite dell’Aprica e di Oropa. La prima, collocata in questo Giro 100 in una posizione scomoda per gli attaccanti, nei primi chilometri della 17ma tappa, è da sempre collegata indissolubilmente al talento di Cesenatico, perché ha rappresentato la sua prima vittoria al Giro. La seconda, arrivo della 14ma frazione dell’edizione 2017, è una delle pagine più belle del ciclismo italiano e internazionale.
Non tutti si ricordano l’Aprica. Il campione non era ancora mainstream e i favoriti per il successo finale erano gente del calibro di Miguel Indurain, Eugenij Berzin, Claudio Chiappucci e Gianni Bugno. Del resto, il giovane Marco aveva soltanto 24 anni. Fregandosene dell’età e dello spessore degli avversari, ebbe l’ardire di prendere a sberle il Mortirolo e di avviarsi in solitaria verso il traguardo. L’Aprica bagnò la storia di Pantani al Giro e lo introdusse nell’Olimpo dei più forti.
Tutti, invece, hanno almeno un’immagine del cuore del 30 maggio 1999. Io, ad esempio, ricordo il pranzo con i parenti, in quella che era inevitabilmente una domenica. La tv era accesa solo di default: chi seguiva il ciclismo sapeva che Pantani l’aveva già vinto, quel Giro. Una salita relativamente semplice come quella di Oropa non poteva che essere una semplice passerella verso il successo. Invece, l’attenzione di tutti fu catturata dall’incidente meccanico. Pantani, un punto rosa, era a bordo strada, in coda alla corsa. Faticò per riprendersi, davanti – infischiandosene del fairplay – attaccarono. Jalabert attaccò. Francia contro Italia, nell’eterno dualismo.
Pantani si arrabbiò e sfogò quel livore nelle pedalate. Superato il primo momento difficile grazie a una squadra fantastica che aveva fatto gregari quelli che dappertutto potevano essere capitani (vedi Marco Velo e Stefano Garzelli), iniziò il suo assolo. Fu una delle rimonte più belle della storia dello sport. E quel pomeriggio, partito in maniera soft, trasformò la casa in una torcida. Pantani vinse in solitaria, come piaceva a lui. Negli ultimi duecento metri, addirittura, si inventò un avversario immaginario e sprintò come se fosse questione di vita o di morte. Nella sua testa, forse, lo perse quello sprint, perché non alzò le braccia per esultare. Tutti gridarono all’impresa. Sei giorni dopo, i carabinieri bussarono alla sua stanza di albergo a Madonna di Campiglio.