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Nibali contro Mikel Landa. Anzi no. Occhio a Tom Dumoulin. Macché, c’è Alejandro Valverde, poi Kruijswijk e poi ancora Chaves. “Vincenzo, come stai?”. “Sto bene, sono tranquillo: vediamo domani”. Lo Squalo attacca. Lo Squalo è ripreso. Guadagna secondi. Perde secondi. Riguadagna, riperde… “Le gambe non girano, dovrò fare esami strumentali”. Finirà il Giro? Sì e lo vincerà pure. Se vi siete stufati della cantilena che ci ha giocoforza accompagnati nelle tre settimane di Giro d’Italia, questo articolo fa al caso vostro. Non c’è spazio (o quasi) per le star, ne abbiamo discusso fin troppo. In una sorta di carnevalesco ribaltamento, è giunto il momento che il palcoscenico se lo prendano gli eroi silenziosi della 99ª edizione della Corsa Rosa. Buona lettura.
Il Giro d’Italia 2016 prende il via il 6 maggio da Apeldoorn, Olanda, con una cronometro di 9,8 chilometri. I riflettori sono puntati sul testa a testa tra l’idolo di casa Tom Dumoulin, la Farfalla di Maastricht, e Spartacus Fabian Cancellara. Alle 16.09 parte uno sloveno con la maglia della Lotto NL-Jumbo. Si chiama Primoz Roglic e già il nome è un presagio mica da ridere quando si corre una gara sportiva. Un tempo praticava il salto con gli sci, oggi si accontenta di volare seduto sul sellino di una bici. È primo, Primoz, al termine della sua prova, con il tempo di 11’03’’. Vabbè, tanto gli specialisti non sono ancora sul percorso. “Goditi il tuo momento di gloria, tra poco ti scalzeranno Primoz!”. Niente di più sbagliato. Il 26enne di Trbovlje resta in poltrona a lungo. Si alza soltanto quando arriva Domoulin, la farfalla più ingombrante di sempre nel sopravanzare l’outsider di giornata con un colpo di reni sulla linea bianca. Per un misero centesimo di secondo svanisce il sogno rosa di Primoz, che scuote la testa, incredulo, lasciando spazio alla festa annunciata. Nove giorni dopo la cronometro del Chianti restituirà a Primoz ciò che è di Primoz. Giustizia è fatta.
Apeldoorn regala poi un’altra cartolina. Alle 16.21 l’Eritrea fa il suo esordio ufficiale nella storia della Corsa Rosa. L’eroe nazionale è Merhawi Kudus Ghebremedhin, 23enne della Dimension Data. Pazienza se conclude 181° su 198 partenti a 1’21’’dal vincitore. Merhawi il suo Giro lo vince in partenza.
La Corsa Rosa saluta l’Olanda con due vittorie in volata dell’imprendibile Marcel Kittel. Tanto di cappello al tedesco, che però ha il privilegio di avere al suo servizio un’intera squadra che lo scorta fino agli ultimi metri. Magari avessero la stessa fortuna Giacomo Berlato, 24enne vicentino, e Johann Van Zyl, 25enne di Città del Capo. Parlano due idiomi differenti, li accomuna la voglia di non arrendersi mai, anche quando rialzarsi sembrerebbe la soluzione più logica. Andare in fuga rappresenta già di per sé un atto di coraggio, loro vanno oltre. Testardi, incoscienti, chiamateli come vi pare. I sogni di gloria di Giacomo s’infrangono a 9 chilometri dal traguardo di Nijmegen, mentre a Johan va peggio: ripreso ai meno 2 dall’arrivo di Arnhem. A volte il gruppo, freddo calcolatore, sa essere cinico, spietato, nel cacciare la sua preda. Bravi lo stesso.
Finalmente i corridori mettono piede sulle strade del Belpaese e a Praia a Mare arriva la prima vittoria italiana del Giro 2016. Diego Ulissi festeggia, ma il successo non sarebbe possibile senza il lavoro “sporco” di Valerio Conti. Il 23enne romano, al suo primo Giro d’Italia della vita, dà tutto, e forse anche qualcosa in più, per il proprio capitano. “Tira Valerio, che il gruppo non ci riprende più!”. L’esordiente della Lampre-Merida abbassa la testa e spinge, spinge come se fosse lui in lotta per la vittoria di tappa. Lancia l’azione finale al livornese e si sfila, da perfetto gregario. “Sono contento per Diego, che è prima di tutto un amico”, dirà poi, con lo sguardo ingenuo di chi è solo all’inizio. Un giorno toccherà a lui alzare le braccia al cielo.
Non ce ne voglia André Greipel, vincitore della 5ª tappa con arrivo a Benevento, se la nostra lente d’ingrandimento si ferma 14 km più indietro della sua poderosa volata. Stefano Zilioli, 26enne bergamasco con un diploma da elettricista, si accartoccia su se stesso, senza un apparente motivo. Dietro di lui l’australiano Jack Bobridge e l’olandese Albert Timmer per schivarlo derapano sull’erba e caprioleggiano in sincrono in un fosso. Una scenetta tragicomica che sembra tratta da un film muto degli anni Venti di Buster Keaton. La caduta, per fortuna, non ha conseguenze: i due ripartono insieme e se la ridono, forse prendendo in giro lo sbadato Zilioli. Per ironia della sorte, Bobridge sarà anche maglia nera al termine del Giro, ultimo della generale a 5 ore, 8 minuti e 51 secondi da Vincenzo Nibali. Battuta per 50’’ la concorrenza – si fa per dire – di Riccardo Stacchiotti, che in tempi non sospetti aveva dichiarato di puntare alla maglia color carbone, simbolo di chi a Torino, nonostante le difficoltà del caso, ci è comunque arrivato.
La Lotto-Soudal si prende altri due successi di tappa con Tim Wellens (grande azione in solitaria) e il solito Greipel. A Roccaraso finisce il Giro d’Italia di Matteo Pelucchi, arrivato con un ritardo di 25’59’’ dal vincitore. Il corridore brianzolo, debilitato già da alcuni giorni, arriva fuori tempo massimo per 46 maledetti secondi. Le regole sono regole, ma la caparbietà del velocista della IAM avrebbe meritato ben altra sorte.
Va peggio a Daniel Moreno, esperto gregario al servizio di Alejandro Valverde, che nella tappa con arrivo a Foligno, tradito dalle difficili condizioni atmosferiche, cade malamente rompendosi la clavicola. L’immagine con cui saluta la Corsa Rosa, inbarellato su un’ambulanza, non è nuova nelle corse ciclistiche. La 7ª tappa ha anche un silenzioso protagonista in positivo, il 22enne Stefan Kung. Studia da Cancellara lo svizzero della BMC, che va forte, fortissimo a cronometro. Una scivolata l’aveva tagliato fuori dai giochi nel prologo inaugurale. Ci riprova sulle strade dell’Umbria, sebbene si tratti di una prova in linea. Ai meno 30 dal traguardo allunga sui compagni di fuga. Non si guarda mai indietro, procede spedito nella sua perfetta postura da cronoman navigato. Il gruppo lo riprende a 6 chilometri dal traguardo. Se ne accorge quando lo affianca un plotone di 180 corridori. “Ma come, non era una prova contro il tempo?!”. Per 25 chilometri Stefan aveva sognato a occhi aperti.
La Corsa Rosa abbraccia la Toscana. C’è lo sterrato dell’Alpe di Poti. È lì che Gianluca Brambilla costruisce la sua impresa: tappa e maglia rosa. Ma del corridore comasco parleremo più avanti. Ora soffermiamoci sul suo immediato inseguitore, il romagnolo Matteo Montaguti. Il 32enne dell’Ag2r insegue la prima vittoria della vita al Giro d’Italia, perfetto coronamento di una carriera di fatiche e sacrifici. In salita Matteo non riesce a tenere il passo del corridore della Etixx, non è uno scalatore. Eppure non molla, sente che questa può ancora essere la sua occasione. D’altronde la tanto agognata vittoria di tappa è lì a soli 30 secondi. In discesa rischia anche qualcosa. Poco male. Il problema è che quello davanti non è da meno. Una sfida entusiasmante, impossibile parteggiare per l’uno o per l’altro. Sul traguardo di Arezzo i due si abbracciano con sincero affetto. Applausi. Gli stessi che meritano Elia Viviani, Iuri Filosi e Boy Van Poppel, giunti sul traguardo con un ritardo di 55’26’’, abbondantemente fuori tempo massimo. Mentre Marcel Kittel lascia perché ha altro per la testa, il veronese, il bresciano e l’olandese arriverebbero a Torino con molto piacere se non fosse per le precarie condizioni fisiche. Ad Arezzo tagliano il traguardo stremati, privi di energia, quando i loro colleghi hanno già affidato il proprio corpo alle sapienti cure dei massaggiatori. Il loro Giro d’Italia finisce qui. Hanno sofferto fino all’ultimo metro, onorando la corsa più di molti altri. Respect.
Nella cronometro del Chianti che rende giustizia a Primoz Roglic c’è una squadra che vive un’autentica giornata da incubo: la Katusha. L’uomo di classifica del team russo, il 26enne Ilnur Zakarin, spilungone di 187 centimetri ma dal fisico asciutto come quello di una modella, accarezza a lungo il sogno della maglia rosa. Le condizioni metereologiche sono proibitive, ma che volete che importi a un ragazzo cresciuto a Naberežnye Čelny, nel gelido Tatarstan, 200 km o poco più a est di Kazan. Gli avversari pedalano sulle uova, Ilnur fa finta che l’asfalto sia asciutto. Cade una prima volta e poi una seconda nell’ultima curva a un passo dal traguardo. In mezzo un cambio di bicicletta. Incosciente e sfortunato, l’aspirante Zar si piazza 54° a 3’51’’ di ritardo. Ha addosso le ferite del guerriero, ma non perderà la voglia di lottare e dare battaglia nelle tappe successive. Fino al ritiro nella discesa del Colle dell’Agnello, messo ko da una brutta caduta che poteva avere conseguenze ben più gravi. Saper governare la bicicletta è una regola fondamentale se si vuol puntare a vincere un Grande Giro, Ilnur ha ancora tanto da imparare.
La 9ª frazione saràl’ultima al Giro d’Italia 2016 per il connazionale e compagno di Zakarin Alexey Tsatevich, cacciato dalla Katusha per essersi messo nella scia di Tobias Ludvigsson, che, partito dopo il russo, l’aveva superato. “Alex, rallenta, non puoi farlo!”, gli dicono dall’ammiraglia. Il corridore, annebbiato forse dallo smacco del sorpasso, fa orecchie da mercante. La giuria gli infligge una penalità di 6 minuti e 48 secondi e una multa di 100 franchi svizzeri, ma per il direttore sportivo del team Dmitri Konychev non è sufficiente. Il gesto è intriso di antisportività, troppo grande il danno d’immagine. Tsatevich viene rispedito a casa. Non si era mai vista una cosa del genere: la Katusha rinuncia a un uomo che avrebbe fatto comodo nelle ultime due settimane, ma dà un bel segnale a tutto il movimento.
Scosse telluriche nella 10ª tappa da Campi Bisenzio a Sestola. Mikel Landa abbandona la Corsa Rosa, debilitato da una gastroenterite virale sopraggiunta nel giorno di riposo. A vincere è il baby Giulio Ciccone da Chieti, 21 anni, al primo anno tra i professionisti. Il corridore della Bardiani CSF ha tutto per diventare un campione, sentiremo ancora parlare di lui in futuro. È il caso ora di spendere alcune parole per Gianluca Brambilla. Lo scricciolo della Etixx ha ancora indosso la maglia rosa, conservata al Chianti per appena un secondo sul compagno Bob Jungels. A Pian del Falco resiste finché può, poi si stacca. Riesce a rientrare sui migliori in discesa, disegnando le curve con maestria, da vero leader della generale. Quando inizia l’ultima asperità che conduce al traguardo, il costaricense Amador, 3° nella generale, va all’attacco. Gianluca non aspetta che arrivino gli ordini di scuderia via radio, sa benissimo quello che deve fare. Il suo capitano è Jungels, lui almeno il primato deve provare a salvarlo. Rimonta posizioni e si mette in testa a tirare. La maglia rosa e il lavoro del gregario, un ossimoro che rende ancor più magica la cartolina che ci regala Brambilla. Il corridore comasco consuma le residue energie che ha in corpo e poi si defila. Chissà se un giorno avrà ancora occasione di indossarla. Jungels ringrazia e indossa la maglia rosa.
Mentre ad Asolo, sede d’arrivo dell’11ª tappa, si rinnova il duello tra Amador e Jungels e ad approfittarne è uno splendido Diego Ulissi, dietro il gruppo si spezza ai meno 30 dal traguardo causa caduta di gruppo. Tanti i corridori coinvolti, tra i quali spiccano Leigh Howard della IAM e Valerio Agnoli dell’Astana. L’australiano, quattro titoli mondiali su pista, finisce in un canale a bordo strada, ma fortunatamente riesce a ripartire senza conseguenze. Il laziale non mette i piedi a bagno, ma prende una botta mica da ridere: frattura di gomito e polso. Porta a termine la frazione con le unghie e con i denti a 17’45’’ dal vincitore, poi la mattina seguente arriva la resa. “La mia più grande umiliazione della carriera. Vergogna e amarezza”, scriverà in uno sfogo sul profilo Instagram. E pensare che Agnoli, pur di venire al Giro in appoggio a Vincenzo Nibali, non si è potuto godere da vicino la nascita del secondogenito Luis Leon, nato appena 5 giorni prima. La caduta sulle strade del Veneto lo ha restituito al ruolo di papà.
La 12ª tappa con partenza da Noale e arrivo a Bibione è completamente pianeggiante. L’arrivo in volata è già scritto, lo sanno tutti. Eppure il trentino Daniel Oss, il rockettaro del gruppo, e il giovane romagnolo Mirco Maestri vogliono rendere possibile l’impossibile. Qualcuno dovrà pur provarci, no? Sulla carovana si abbatte nel frattempo un nubifragio, ma neanche la pioggia sembra scalfire la tempra dei due coraggiosi in avanscoperta. Daniel è il più combattivo dall’inizio del Giro e già a Roccaraso ha dovuto fare i conti con la sfortuna, andando a picchiare su un fianco dopo una scivolata. Oggi si torna all’attacco. Il gruppo concede un vantaggio massimo di 5 minuti, poi inizia l’inesorabile e scontata rimonta. Per alcuni chilometri il distacco si mantiene nell’ordine dei 40 secondi, in una sorta di riedizione degli inseguimenti tra Tom e Jerry. Rispetto al famoso cartone animato i topolini Oss e Maestri non hanno via di scampo. Vengono catturati ai meno 20 dall’arrivo. Con la neutralizzazione del tempo negli ultimi 8 km il 12° atto del Giro ha il suo finale annunciato: il “Gorilla Greipel” fa tris e abbandona la corsa senza rimpianti.
Arriviamo al 13° atto del Giro d’Italia 2016. Siamo proprio sicuri che non sia opera di un romanziere di grande talento e fantasia? E non solo per questa curiosa scena, che vi assicuriamo essere reale.
Per una volta non possiamo che occuparci dei due vincitori di giornata, due corridori che per un giorno diventano eroi. Solo 24 ore di gloria, prima di tornare a pedalare in silenzio. È Mikel, è basco, ma non è l’uomo che il Team Sky si aspetta di veder esultare a braccia alzate: Mikel Nieve fa sua la tappa con arrivo a Cividale del Friuli e dà sollievo alla delusione dei britannici, traditi dalle difficoltà fisiche di Mikel Landa. Non doveva neanche esserci sulle strade italiane Mikel 2, chiamato d’urgenza per sopperire all’assenza di Sergio Henao nel ruolo di prima spalle del connazionale nelle frazioni in salita. Il ritiro di Mikel 1 sconvolge i piani della squadra e consente a Mikel 2 di costruire la sua piccola impresa.
Impossibile poi non parlare di Andrey Amador, primo costaricense a indossare la maglia rosa nell’ultracentenaria storia del Giro d’Italia. Una maglia che il corridore della Movistar ha desiderato forse più di ogni altro collega. Corona il suo sogno sul traguardo di Cividale, dedicando lo storico risultato a tutta la Costa Rica. A San Josè, a quasi 10.000 chilometri di distanza in linea d’aria, è mattino presto. Sono in tanti, però, a essersi svegliati all’alba per gustarsi la rimonta in discesa del funambolico Andrey e la sfida a distanza con il lussemburghese Bob Jungels. Quando arriva l’ufficialità del passaggio di consegne, nelle strade della capitale costaricense esplode la festa, con caroselli dal colore dominante facilmente intuibile, bandiere nazionali e quant’altro. Non si vedevano scene simili dal Mondiale di calcio del 2014, quando i Ticos, dopo aver dato un dispiacere all’Italia, si spinsero fino ai quarti di finale. Amador dura solo un giorno in rosa, ma in Costa Rica sono ugualmente fieri di lui.
Il giorno successivo la frazione Regina della 99ª Corsa Rosa presenta sei montagne dolomitiche. Per il colombiano Darwin Atapuma la strada sembra ancor più in salita. Mentre tutti si concentrano sulla crisi di Alejandro Valverde, sullo scatto di Vincenzo Nibali, sull’azione di Steven Kruijswijk ed Esteban Chaves, il 28enne colombiano cerca di completare un lavoro iniziato 12 mesi prima. È in fuga dal mattino Darwin e non può che pensare a mamma Betsabe, scomparsa alla vigilia del Giro 2015. Lo scalatore della Bmc decise di restare in Italia; aveva in serbo una dedica speciale in caso di vittoria di tappa, ma chiuse da 16° della generale senza alcun successo. “Ci riproverò l’anno prossimo!”. E allora quale miglior occasione della 14ª tappa? Darwin transita per primo sul durissimo Passo Giau e sul Valparola si sbarazza del bielorusso Kanstantsin Siutsou e dell’austriaco Georg Preidler. “Scusate ragazzi, ma devo aumentare il passo: ho un compito da portare a termine”. Dietro però la corsa s’infiamma: il connazionale Chaves e Kruijswijk si riportano sugli ex compagni di fuga. “Non ti voltare Darwin, fai a tutta la discesa, non aver paura: c’è mamma lassù che ti protegge”. Ha domato i 6 Gran premi della montagna di giornata e altrettante discese, ora c’è il Mür dl Giat (il Muro del gatto). Chissà se è superstizioso il Puma. Di certo è una pugnalata alle già martoriate gambe di un corridore in fuga da ore, una sadica trappola posta dagli organizzatori a un tiro di schioppo dal traguardo. In cima gli immediati inseguitori intravedono la sua sagoma rossonera. Viene ripreso a 2 chilometri dal traguardo, in un tratto di falsopiano. Prova a restare attaccato Darwin, ma ormai è chiaro: non sarà lui a vincere. Chiude quarto e piange, come un anno fa. Le lacrime solcano di nuovo il suo volto. La promessa non è ancora mantenuta ma mamma Betsabe è orgogliosa lo stesso. Il suo Darwin è il primo a complimentarsi con il giovane Chaves, colombiano come lui, che gli ha appena negato la gioia più importante della carriera.
La cronoscalata dell’Alpe di Siusi è ricordata per il salto di catena di Vincenzo Nibali, per la vittoria del russo Alexander Foliforov sul filo dei centesimi, per la grande prova della maglia rosa Steven Kruijswijk. Francesco Manuel Bongiorno non è in lotta per la generale, né per il successo di tappa, ma vince per tenacia e simpatia. Facciamo un passo indietro alla tappa del giorno prima: il calabrese della Bardiani CSF scivola lungo la discesa del Passo Gardena mentre si trova in fuga. Manuel è una maschera di sofferenza tra botte ed escoriazioni, ma come fai a mollare in una tappa così? A Corvara taglia il traguardo con quasi 37 minuti di ritardo dal vincitore e ha la forza di twittare: “Nonostante la sfortuna, penso sia la tappa più bella che abbia mai fatto”. No, non è decisamente un buon giorno per Bongiorno. È malconcio il corridore reggino, ma nemmeno la notte insonne riesce a fermarlo. A Castelrotto, tutto incerottato, inizia un’altra agonia di 33 minuti e 18 secondi. Ma nel bel mezzo dell’ascesa, tra due ali di folla in visibilio, Manuel dà il “cinque” a un tifoso corpulento con una parrucca rosa, gesto che ci insegna come gli spettatori sulla strada possano risultare comunque simpatici, rispettando il passaggio dei corridori senza ostacolarne l’azione e cadere in manie di protagonismo.
Manuel Bongiorno @Manuel700 of @Bardiani_CSF loves his fans #Giro pic.twitter.com/YQcPucvMcy
— Peter SagFan (@Peter_SagFan) 22 maggio 2016
David Lopez Garcia, 35 anni, è dal lontano 2009 che non partecipa al Giro d’Italia (ritirato alla 20ª frazione, a un passo dal concluderlo). Dovrebbe correre in appoggio a Mikel Landa, ma il ritiro del capitano gli apre nuovi scenari. “Voglio una tappa”, s’intestardisce il veterano del Team Sky. Ci prova, senza esito, nella frazione Regina, quella del Pordoi, del Giau e via discorrendo. L’occasione buona sembra arrivare nella 17ª: ci sono un paio di salite non così impegnative, è la tappa più corta del Giro e i big possono, devono lasciar fare dopo il giorno di riposo: sono altre le giornate da battaglia. Ne sei proprio sicuro David? La prima ora di gara si corre a ritmo infernale. In un lampo si è già sul Passo della Mendola. Scatti e controscatti. Zakarin e Kangert sono in avanscoperta, quando, alle loro spalle, spunta una sagoma neroblu che si riporta sui due fuggitivi. È David Lopez Garcia. Zakarin si rialza, è troppo vicino alla maglia rosa. “È fatta, senza il russo mi lasceranno andare gli uomini di classifica!”, mormora David. Non fa in tempo a scandire l’ultima parola che tra i signori del Giro numero 99 scoppia la Terza guerra mondiale in bicicletta. Valverde, Nibali e Kruijswijk salgono alla morte. David e i compagni di fuga vengono ripresi in discesa. Poi arriva Fai della Paganella e Valverde parte a fionda, mettendo la prima pietra sul successo di tappa. È solo 6° David sul traguardo di Andalo, a 38’’ dal vincitore. Ha scelto la giornata sbagliata. Ancora una volta.
Il protagonista silenzioso (mica tanto in realtà) della Molveno-Cassano d’Adda, 18esima fatica della Corsa Rosa, è senza dubbio Lars Bak, passistone della Lotto-Soudal. Il 36enne danese, un armadio di 190 centimetri x 76 chilogrammi, dispensa carisma e personalità sulle strade della pianura padana. In fuga ci sono Daniel Oss (sai che novità), Pavel Brutt e Eugert Zhupa. Il gruppo controlla, con le squadre dei velocisti che preparano il terreno per la volata. Sonny Colbrelli, Roberto Ferrari e Giacomo Nizzolo corrono sulle strade di casa. È tutto il giorno che salutano amici e parenti lungo il percorso, come se nella provincia milanese dovesse per forza vincere un lombardo. “A pensà mal se fà maal, ma se sbaglia mai” direbbero da queste parti. Bak non capisce l’italiano, figuriamoci il milanese. In quanto a capacità di generare potenza a suon di pedalate, però, non ha bisogno di ripetizioni. Ai meno 25 parte in contropiede, portandosi appresso Ignatas Konovalovas e Maxim Belkov. Raggiungono in un amen i tre fuggitivi della prima ora, ma non sembra esserci grande convinzione. È a questo punto che Lars s’improvvisa direttore d’orchestra, mimando con le dita una doppia fila. Quindi passa alle “maniere forti”, facendosi sentire: “Come on! Speed! Speed!”. La truppa si mette in riga ed esegue gli ordini del generale Bak. L’azione riprende vigore e il gruppo fa una faticaccia bestiale a rientrare, catturandoli a 2 chilometri dal traguardo. C’è bisogno di specificare chi è l’ultimo a cadere?
#Giro Lars Bak, the chief giving orders. @Lotto_Soudal pic.twitter.com/Pr38P61ryH
— Brain on Wheels (@BrainOnWheels) 25 maggio 2016
La Muggiò-Pinerolo è tappa da fughe per eccellenza. Il gruppo lascia fare, perché i due giorni successivi sono micidiali. Tra gli attaccanti di giornata Gianluca Brambilla e Moreno Moser sono i più pimpanti sul GPM di Pramartino e guadagnano sugli altri fuggitivi. Dietro c’è un russo in maglia gialla evidenziatore della Tinkoff che non molla. È Ivan Rovny e la 18ª tappa l’ha studiata bene. Soprattutto gli ultimi esplosivi chilometri. Il 28enne di San Pietroburgo, vincitore nel 2005 del mondiale Juniores, è con Trentin nel drappello degli immediati inseguitori. Ai meno 3 dal traguardo, prima dell’ultimo passaggio sul muro in pavé di via Principia d’Acaja, Ivan prende in testa la curva a sinistra che precede lo strappo. Ha ancora benzina nel serbatoio e i due davanti hanno solo 20 secondi di margine. C’è tutto il tempo per rientrare. “Sì, però devi rallentare per svoltare Ivan!” Forse tradito dalla troppa foga, il russo va dritto in braccio a uno spettatore. Addio vittoria di tappa.
Ormai se la giocano Gianluca Brambilla e Moreno Moser. Gianluca un successo l’ha già ottenuto. Ora tocca a Moreno. Il nipote d’arte, 26 anni, non ha ancora spiccato il volo. Il nome che porta pesa come un macigno nel mondo del ciclismo. È nato in una famiglia di ciclisti Moreno e il suo zio più celebre, Francesco, ha vinto soltanto un Giro d’Italia e svariate classiche. Il palmarès di Moreno, invece, non è ancora all’altezza degli standard familiari e una tappa al Giro aiuterebbe. Eccome se aiuterebbe. Ai 500 metri è lui in testa, con Brambilla incollato alla ruota. Sa di essere più veloce Moreno, deve solo aspettare il momento giusto per accelerare. Dietro, però, arriva a gran velocità Matteo Trentin (sì, quello che era con Rovny). Brambilla si volta e lo vede. Sono compagni di squadra, non farà la spia. “Moreno voltati!”, gli avrà forse urlato qualche spettatore. Una sagoma con la maglia neroblu della Etixx-QuickStep lo sorpassa a velocità doppia e non è quella di Brambilla. Quando se ne accorge è già troppo tardi. Una beffa atroce. “Non mi ero accorto di Trentin, ho perso l’auricolare e non sono riuscito a comunicare con il mio direttore sportivo”. Sfortuna nella sfortuna. Piccoli dettagli che possono fare la differenza. Riprovaci Moreno, hai ancora una lunga carriera davanti.
Chissà se a Steven Kruijswijk piace l’agnello. Di certo nella tappa di venerdì 27 luglio non deve averlo digerito granché bene l’olandese. Il cappottamento sulla neve a bordo strada all’inizio della discesa lo fiacca nello spirito ancor più che nel fisico (microfrattura alla costola). Isolato, dolorante e con il morale sotto le ruote la maglia rosa vive una giornata da incubo: Chaves e Nibali gli fanno scacco matto, ma fa comunque tenerezza il suo arrivo a Risoul a 5 minuti dallo Squalo. Mai un aiuto nel momento di difficoltà. La faccia sconsolata è di chi sa che ha appena perso una grossa occasione; i segni della caduta andranno via presto, ma sono le piaghe nell’anima le più difficili da rimarginare. “Maledetto agnello!”, rimuginerà a lungo il 28enne pel di carota della Lotto Nl Jumbo, che per una traiettoria sbagliata ha visto svanire il sogno rosa.
L’Agnello è invece domato da un gigantesco Michele Scarponi, l’Aquila di Filottrano che si posa sulla Cima Coppi della 99ª Corsa Rosa e la fa sua. Può bastare questo se sei un gregario. Di lusso, certo, ma pur sempre un gregario. Andrebbe anche a prendersi la tappa Michele, ma il suo ruolo non glielo consente. Lui che nel 2011 un Giro d’Italia l’ha pure vinto dopo la squalifica di Contador, si sacrifica per ragioni di squadra, per l’amico Vincenzo, per milioni di tifosi che sognano la riscossa dello Squalo. L’ammiraglia lo avvisa di quanto sta avvenendo dietro; Michele rallenta, aspetta l’arrivo del belga Maxime Monfort e pedala con lui per alcuni chilometri, prima di rialzarsi platealmente: una pacca sulla spalla del corridore della Lotto-Soudal, come a dire “Vai, prova a vincerla tu, io non posso più darti una mano”, e motore in folle in attesa che arrivi Nibali. Lavora come un matto fino alle prime rampe dell’ascesa verso Risoul. Quando si sposta, esausto, serve a Vincenzo Nibali l’assist per l’impresa della vita. E pensare che ha rischiato di non partecipare a questo Giro. A marzo una caduta alla Tirreno-Adriatico ne aveva messo a serio rischio la presenza sulle strade della Corsa Rosa e allo Squalo erano venuti i capelli bianchi. Ora si capisce perché. “Gli andrebbe fatta una statua”, ha detto Nibali dopo aver messo in cassaforte il suo secondo Giro d’Italia.
Sabato 28 maggio è il giorno in cui Vincenzo Nibali riscrive la storia della Corsa Rosa, coronando in due giorni una rimonta leggendaria. Tutta l’Italia è ai suoi piedi. C’è però anche qualcuno, in disparte, che soffre per Damiano Cunego e il suo piccolo dramma sportivo. Il veronese, vincitore del Giro d’Italia 2004, ha da tempo abbandonato l’idea di fare classifica. Quest’anno il suo obiettivo è chiaro fin dai primi giorni: la maglia azzurra di miglior scalatore. Damiano la conquista alla 4ª tappa, la cede all’8ª a Tim Wellens, ma dalla 10ª alla 20ª frazione è di nuovo sua. È stressante dover andare in fuga in qualsiasi tappa presenti almeno un Gran Premio della Montagna. L’ansia dei punti, la necessità di scrutare qualsiasi possibile avversario: prima Denifl, poi Visconti, poi di nuovo Denifl e infine Mikel Nieve. Ebbene sì, non è solo la “rosa” a cambiare padrone al fotofinish. Col de Vars, Col de la Bonette, Colle della Lombarda. Un trittico di salite da incubo per l’ex ragazzo prodigio, che a 34 anni ha cullato quella maglia blu come un premio di fine carriera. Con lei ha sudato e sofferto per migliaia di chilometri. È diventata un’amica, una confidente, poi qualcosa in più. Il sentimento è maturato tappa dopo tappa, ma nel giorno più importante Damiano non ha avuto la gamba per tenere il passo di Nieve. E ora si sente come un uomo che si innamora di una donna sua amica e la vede andare via, tra le braccia di un amante spuntato fuori all’improvviso.
La tappa finale di Torino dovrebbe essere una passerella felice con lo champagne offerto da Vincenzo Nibali a chi è riuscito a sopravvivere a tre settimane durissime. Invece la pioggia che per larghi tratti caratterizza la corsa complica maledettamente le cose. Il generale Lars Bak, sfortunatissimo, è costretto a ritirarsi a poche pedalate dalla fine del Giro dopo una brutta caduta. Incredibile anche l’episodio che mette Sonny Colbrelli, 26enne velocista della Bardiani CSF, fuori dai giochi per il successo di tappa. Siamo nell’ultimo giro sul circuito finale e Sonny è in testa. Spinge con il massimo sforzo, perché non ci sta a chiudere la Corsa Rosa nell’anonimato. Il contatto, impercettibile, con il piede di uno spettatore a bordo strada lo fa ruzzolare malamente sull’asfalto e gli spegne i sogni di gloria. Non è la prima volta che uno spettatore, suo malgrado, “abbatte” un corridore.
A Torino vince un incredulo Nikias Arndt, che sfrutta l’harakiri di Giacomo Nizzolo e Sacha Modolo. Il 27enne milanese, eterno piazzato al Giro d’Italia, esulta e crede di aver spezzato un tabù da nove secondi posti. Nello sprint Giacomo prende una traiettoria anomala, spinge Modolo verso l’esterno, quasi contro le transenne. Giudizio sospeso in attesa del pronunciamento della giuria. Quando arriva, dopo mezz’ora circa, è come se cadesse il mondo addosso al velocista della Trek. Dopo aver tagliato il traguardo credeva di essersi svegliato da un incubo. Ora c’è di nuovo ripiombato e dovrà aspettare un altro anno almeno per provare a uscirne.