“Andare a vedere il ciclismo è una cosa che se ci pensi non ci credi. Stai sul bordo di una strada, aspetti, aspetti, poi ad un certo punto arrivano, come una ventata colorata, i ciclisti, e ti strisciano negli occhi. Se non sei sullo Stelvio è una faccenda di trenta secondi. Hai il tempo di dire arrivano e già li vedi di schiena. Vabbè che è gratis ma ammettere che è uno spettacolo paradossale. Eppure strade piene, quando passano quelli paesi interi usciti di casa a vedere e plaid sull’erba, thermos, radioline, giacche a vento e la rosea aperta alla pagina giusta per leggere i numeri dei ciclisti e sapere chi erano. Una festa”.
Con queste parole di Alessandro Baricco voglio cominciare l’ultimo appassionante episodio di questo Giro d’Italia. Oggi non parleremo di corsa, lo abbiamo fatto per 20 appassionanti giorni, e tolta una breve, ma doverosa postilla sui vincitori, perché la meritano, vorrei raccontare cosa rappresenta la corsa rosa per gli italiani.
La 21ª tappa della 105ª edizione del Giro d’Italia è stata una cronometro individuale di 17,4 km con partenza e arrivo a Verona, la città dell’amore, dell’Arena e di Romeo e Giulietta. La città, come diceva Charles Dickens: “Con i suoi bei palazzi antichi e l’incantevole campagna vista in distanza da sentieri praticabili e da solide gallerie con balaustra. Con i suoi tranquilli ponti romani che tracciano la retta via illuminando, nell’odierna luce solare, con tonalità antiche di secoli. Con le chiese marmoree, le alte torri, la ricca architettura che si affaccia sulle antiche e quiete strade nelle quali riecheggiavano le grida dei Montecchi e dei Capuleti”.
E la cronometro è stata un tripudio di tutto questo: dalla salita di Torricella Massimiliana, proprio nelle campagne veronesi all’arrivo in Piazza Bra, cuore pulsante della città, a pochi passi dall’Arena. Ogni corridore, al termine dello sforzo, l’ultimo per quest’edizione, ha ricevuto la propria passerella proprio nell’Arena, adornata a festa e di rosa vestita per l’ultimo ballo della stagione.
Matteo Sobrero, in maglia di campione italiano contro il tempo, ci è entrato dopo una corsa pressoché perfetta. Ha spinto in salita, ha rifiatato un attimo ed ha sferrato l’affondo decisivo tra la discesa che lo ha riportato in città, i ponti che lo hanno condotto in centro e le viuzze in ciottolato che lo hanno consacrato.
Prima vittoria in carriera per lui, se non si considera il campionato italiano dello scorso anno, ma anche la soddisfazione di mettere tutti in riga nell’ultimo giorno di scuola della corsa.
Jai Hindley invece, ha fatto ciò che due anni fa non gli è riuscito, proprio a cronometro, ma a Milano: difendere la maglia rosa. Il 26enne è diventato il primo australiano nella storia a vincere il Giro e il secondo, dopo Cadel Evans trionfatore al Tour 2011, a conquistare un Grande Giro.
Ci ha provato Richard Carapaz, ma la distanza da colmare era troppa: 1’25”, tutti persi ieri lungo la Marmolada, come sempre, crocevia fondamentale per chi vince e chi perde la corsa. Ha guadagnato soli 7″ il campione nazionale a cronometro ecuadoriano, che oggi cha compiuto 29 anni e avrebbe voluto farsi un regalo straordinario: vincere il suo secondo Giro d’Italia. Si è dovuto accontentare del secondo posto, ed è apparso comunque felice sul podio.
Podio che torna anche per Mikel Landa, al Giro, dopo quello conquistato, un po’ a sorpresa nel 2015, da gregario di Fabio Aru. Un Landa consapevole di essere forte in salita, ma mai veramente pericoloso davvero per le prime due posizioni, cruccio che da sempre ha contraddistinto la sua carriera. Un podio al Giro comunque non è da buttare, anzi, rende l’idea della forza del basco.
E infine Vincenzo Nibali, quarto nella generale all’alba dei 38 anni e all’ultima recita sulle strade che prima lo hanno fatto conoscere agli occhi del mondo, tra il 2007 e il 2008, poi reso celebre, nel 2013 e infine immortale nel 2016, con quella rimonta scolpita negli annali. Vincenzo ha portato gli italiani ad emozionarsi nuovamente per la bicicletta, dopo Pantani e tutto ciò che ne è conseguito. Vincenzo è un patrimonio della storia dello sport azzurro ed oggi, a Verona, in quell’Arena in cui nel 2010 ottenne il suo primo podio nella corsa, è stato celebrato come merita.
Il Giro d’Italia è finito e come sempre ha emozionato, fatto esultare, fatto commuovere e tanto altro. Il Giro è un apostrofo rosa che collega, per un mese intero, tutta la Nazione, ma adesso, mentre la malinconia della fine mi assale, la domanda che mi pongo e vi pongo è una sola: da domani, cosa faremo? Come saranno cadenzate le nostre giornate, che ormai avevano preso un ritmo tanto dolce quanto frenetico?
Niente è la risposta. Perché il Giro torna ed ogni anno è una festa.