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Si è concluso oggi a Milano il Giro d’Italia 2017. Tom Dumoulin ce l’ha fatta: a 27 anni è il primo olandese ad aggiudicarsi la Corsa rosa, giunta alla sua centesima edizione. Un Giro d’Italia estremamente combattuto – mai si era vista una classifica così corta nelle prime sei posizioni alla vigilia dell’ultimo atto – ha premiato infine il corridore più costante, colui che ha saputo difendersi egregiamente sulle montagne (non senza qualche brivido) e sbaragliare la concorrenza nelle prove contro il tempo, suo terreno ideale. Con lui sul podio vanno i due favoriti della vigilia, Nairo Quintana e Vincenzo Nibali, battuti rispettivamente di 31” e 40”. Ecco i nostri voti ai protagonisti delle tre settimane in cui è stato scritto un nuovo capitolo di quel romanzo senza fine che è il Giro d’Italia.
Tom Dumoulin 9,5
La “Farfalla di Maastricht” (appellativo a lui non troppo caro) entra nella storia, primo olandese a iscrivere il proprio nome sulla spirale aurea che è il Trofeo Senza Fine. L’edizione numero 100 del Giro si presenta certamente molto adatta alle sue caratteristiche, e Dumoulin – pur non godendo dei pieni favori del pronostico alla partenza da Alghero – non fallisce l’appuntamento. Al primo arrivo in salita, sulle dure rampe del Blockhaus, si difende egregiamente da uno scatenato Nairo Quintana, lasciandolo sfogare e limitando i danni a soli 24” di passivo. La cronometro di Montefalco, due giorni dopo, è un invito a nozze per le sue caratteristiche di “signore del tempo”: schiantati i rivali, che Dumoulin lascia tutti a oltre 2′, la maglia rosa è sua. L’olandese offre poi un’ulteriore dimostrazione di forza a Oropa; ancora una volta concede inizialmente spazio a Quintana, salvo poi riprenderlo, staccarlo e vincere la tappa. Dumoulin rischia di perdere la maglia rosa nella tappa di Bormio, causa un improvvido problema intestinale nel momento clou della corsa; ma riesce a salvarsi anche grazie agli scrupoli morali degli avversari, i quali – checché se ne dica – in un primo momento lo attendono. Apparentemente molto sicuro di sé, Dumoulin non lesina affermazioni arroganti e fuori luogo (poi ritrattate) dopo la tappa di Ortisei, al termine della quale sembra inattaccabile. Ma la crisi è dietro l’angolo e colpisce inesorabile nella tappa di Piancavallo, in cui Dumoulin perde la maglia rosa: l’imboscata che i suoi avversari gli tendono nella discesa da Cima Sappada (sfruttando una sua incredibile ingenuità), potrebbe davvero costargli tutto, ma l’olandese è fortunato nel trovare alleati lungo la strada; le polveri bagnate dei rivali gli consentono poi di limitare i danni sull’asperità conclusiva. Respinti gli ultimi assalti nella tappa di ieri, recuperare 53” a Nairo Quintana nei quasi 30 km della crono di Milano è una formalità per Dumoulin, che al colombiano rifila 1’24”. Il connazionale Jos Van Emden gli soffia il terzo successo di tappa, ma la maglia rosa finale è sua. Chapeau.
Nairo Quintana 7
Il favorito della vigilia, che secondo molti avrebbe sbaragliato gli avversari sulle salite, alla fine tradisce le attese, cogliendo comunque un prestigioso secondo posto. La dimostrazione di superiorità sul Blockhaus – dove trionfa in solitaria dopo aver staccato tutti quanti – sembra l’inizio di una recita a effetto, ma a conti fatti non è che un fuoco di paglia. Dopo quello show, infatti, Quintana non riuscirà più a fare la differenza quando la strada sale. Persa nella cronometro del Sagrantino la maglia rosa appena conquistata, il suo rendimento è costante, senza alti né bassi. Il colombiano riesce a riconquistare il simbolo del primato in maniera quasi fortuita a due giornate dalla fine, ma la cronometro conclusiva gli è fatale. Pur disponendo di una squadra importante (e decisamente superiore a quella del rivale olandese), Quintana non riesce a sfruttarla pienamente in questo Giro; non si può dire che non provi a fare la differenza in più di un’occasione, ma la condizione non sembra assisterlo come dovrebbe. E in effetti oggi, a Giro concluso, viene svelato come un attacco influenzale ne abbia minato il rendimento. Avrà comunque modo di rifarsi al Tour de France (Froome e compagnia permettendo).
Vincenzo Nibali 8
Lo Squalo dello Stretto non riesce a conquistare il suo terzo Giro, ma è ancora lui a regalare le maggiori emozioni ai tifosi italiani. In corsa fino alla fine per la maglia rosa, Vincenzo deve accontentarsi del terzo gradino del podio, a 40” da Dumoulin e ad appena 9” dal secondo posto di Quintana. Porta la firma del siciliano l’unica vittoria di tappa colta da un nostro connazionale in questa edizione della corsa rosa. E non è un successo di tappa qualsiasi: Nibali trionfa nella frazione regina del Giro d’Italia, la Rovetta-Bormio attraverso la doppia scalata allo Stelvio (affrontato anche dal versante svizzero). Quel giorno lo Squalo è il più forte di tutti in salita come in discesa, dove regala uno show dei suoi (non a caso verrà premiato con il Trofeo Bonacossa per l’impresa più bella compiuta in questa edizione del Giro). Ancora una volta Nibali dimostra – a questo punto della carriera – di prediligere le tappe lunghe, che presentano più salite e possibilmente sopra quota 2000 metri; per questo aveva pagato dazio a Oropa e prima ancora sul Blockhaus. Le buone prestazioni a cronometro e nell’ultima settimana – dove è tra i più propositivi nell’attaccare la maglia rosa – gli valgono il quinto podio in carriera al Giro d’Italia. È ancora e sempre lui il simbolo del ciclismo italiano nel terzo millennio.
Thibaut Pinot 7,5
Il francese si rende protagonista di un ottimo Giro d’Italia. Competitivo sul Blockhaus (dove è con Dumoulin appena dietro a Quintana), delude a cronometro e paga dazio a Oropa e nel tappone di Bormio. Ma nella terza settimana Pinot è nuovamente tra i più brillanti: primo degli uomini di classifica sia a Ortisei che a Piancavallo, ad Asiago conquista il meritato successo di tappa. Grazie a tali prestazioni, il francese riesce a conquistare provvisoriamente un posto sul podio a soli 4” da Nibali e con 10” di margine su Dumoulin (è storia di ieri). Ma la cronometro di oggi respinge lo nuovamente: scavalcato da Dumoulin (al pari di Quintana e Nibali), Pinot non riesce neppure ad avvicinarsi a chi lo precede e deve accontentarsi infine del quarto posto, a 1’17” dall’olandese in rosa. Solo la vittoria è bella, recita un suo tatuaggio: Pinot non avrà vinto il Giro, ma non per questo il suo esordio alla corsa rosa è stato meno bello.
Ilnur Zakarin 7,5
Tra le note liete del Giro d’Italia numero 100 va certamente annoverato il russo, che un anno fa era stato messo fuori gioco da una caduta quando era quinto in classifica generale. Questa volta Zakarin riesce a conquistare proprio il piazzamento che gli era sfuggito nel 2016, e lo fa correndo in maniera generosa, spesso all’attacco. Come ieri, quando – dopo aver fatto tirare la squadra sul Monte Grappa – cerca il successo di tappa in quel di Asiago, battuto solamente da Pinot allo sprint. Come i due giorni precedenti, in cui approfitta del controllo tra gli assi per avvicinarsi al podio e per poco non riesce nell’intento. O come a Oropa, quando il solo Dumoulin lo precede sul traguardo. Dunque un Giro più che positivo per Zakarin, certo non bello da vedere in sella a una bicicletta, ma tremendamente efficace.
Domenico Pozzovivo 8
Gli addetti ai lavori sono concordi nel definire il Giro 2017 di Domenico Pozzovivo il migliore nella carriera dello scalatore lucano. Difficile dar loro torto: il sesto posto finale non rappresenta a livello statistico il suo miglior risultato (Pozzovivo fu quinto tre anni fa), ma mai come quest’anno Pozzovivo ha tenuto un rendimento costante e – nella terza settimana – al livello dei migliori su ogni salita. Merito dell’equilibrio generale e, probabilmente, anche delle condizioni meteorologiche straordinariamente favorevoli (in passato il nostro ha spesso dimostrato di soffrire il maltempo), certo; ma, ancor di più, della maturità pienamente raggiunta da un ottimo corridore, che a 34 anni non è mai stato così competitivo.
Mikel Landa 9
Era partito sotto ben altri auspici il Giro d’Italia 2017 di Mikel Landa, leader designato del Team Sky parimenti – o comunque appena dietro nelle gerarchie – a Geraint Thomas. Ma l’assurda caduta nella nona tappa gli costa mezz’ora di ritardo e qualunque ambizione di classifica; peggio va a Thomas, che dopo qualche giorno decide di tornare a casa. Il basco potrebbe fare altrettanto, ma, nonostante tutto, la sua condizione è buona e le montagne (terreno che predilige) lo attendono. A Oropa è con i migliori, terzo alle spalle di Dumoulin e Zakarin, ma è la tappa regina a segnare l’inizio della sua recita da protagonista. Nel giorno dello Stelvio, Landa compie una splendida azione in solitaria: sua è la prestigiosa Cima Coppi, al pari della maglia azzurra di miglior scalatore che porterà fino a Milano. Ma Nibali lo raggiunge in discesa e ha la meglio nella volata a due per la vittoria di tappa. Due giorni dopo, Landa è nuovamente secondo, battuto questa volta dal compagno di fuga Tejay Van Garderen in maniera analoga. La terza volta, si suol dire, è quella buona; centrata nuovamente la fuga giusta, la maglia azzurra si libera degli avversari sulle dure rampe verso Piancavallo e conclude in trionfo, le dita al cielo per ricordare Michele Scarponi. Un Giro da incorniciare dunque per Mikel Landa, che senza quella sciagurata caduta avrebbe potuto (forse) lottare per quel podio su cui salì due anni fa. Il 17° posto finale non fa davvero testo.
Bob Jungels 7
In un Giro in cui i giovani che ambiscono alla classifica generale si rendono protagonisti pur senza eccellere, Bob Jungels conquista per il secondo anno consecutivo la maglia bianca riservata al migliore tra gli under 25. Pur con qualche alto e basso, dovuto forse proprio alla giovane età, il lussemburghese dimostra un’ulteriore crescita, in un Giro che peraltro lo vede vestirsi di rosa per qualche giorno (come già nel 2016). Competitivo nelle prove contro il tempo (quella odierna gli consente di riprendersi la leadership nella classifica dei giovani, a scapito di Adam Yates), Jungels non è ancora al livello dei migliori sulle grandi montagne. Ma il futuro è dalla sua.
Davide Formolo 6,5
Un Giro senza acuti, ma comunque positivo per il 24enne veronese, autentica promessa del nostro ciclismo. Formolo non riesce a conquistare la maglia bianca di miglior giovane, battuto solamente da Jungels e Yates, che – a oggi – sono semplicemente più pronti di lui per questi palcoscenici. Ma il decimo posto in classifica generale rappresenta comunque un viatico più che incoraggiante per il prosieguo di una carriera che è appena all’inizio.
Fernando Gaviria 9
Viene dalla Colombia il re degli sprint del Giro numero 100. Costui bagna il debutto alla corsa rosa – e in un Grande Giro – con quattro successi di tappa, coronati dal trionfo nella classifica a punti e la relativa conquista della maglia ciclamino nell’anno in cui la mitica casacca fa il suo acclamato ritorno dopo sette anni di assenza. In un’edizione del Giro d’Italia che offre poche occasioni per i velocisti, il giovane colombiano si ritaglia un ruolo da assoluto protagonista. Facendo sua la terza tappa, in quel di Cagliari, si toglie subito la soddisfazione di indossare la maglia rosa; e pazienza se dopo il giorno di riposo la corsa si arrampica sull’Etna e lui deve cederla al compagno di squadra Jungels. Vincendo anche a Messina, Gaviria è consacrato “Re delle Isole”, mentre a Reggio Emilia si conferma il numero uno degli sprinter. Ma è sul rettilineo finale di Tortona che il colombiano confeziona il capolavoro: partito da molto indietro, supera gli avversari a doppia velocità saltandoli come birilli e, sfruttando un pertugio lasciato dall’abile apripista Maxi Richeze, completa il poker. Classe ’94, Gaviria è già la stella più fulgida nell’intero firmamento delle ruote veloci.
André Greipel 5
Sembra terminata l’era del Gorilla. Nulla può, in questo Giro d’Italia, il 35enne tedesco contro gli sprinter della nuova generazione (Gaviria, ma anche Caleb Ewan). Solo in un’occasione, alla seconda tappa, Greipel riesce a imporre la propria legge (grazie soprattutto a un contatto tra i due più giovani e forti rivali, che in sostanza si annullano da soli), ma da un corridore con quel palmarès (per quantità di vittorie, più che per qualità) sarebbe lecito aspettarsi qualcosa in più. La maglia rosa indossata quel giorno grazie agli abbuoni certamente impreziosisce la carriera del tedesco, che ancora una volta lascia la corsa come da programma ai piedi delle montagne. Se lo scorso anno l’abbandono quando era leader della classifica a punti aveva rappresentato un atto deplorevole, in questo Giro che lo ha visto (quasi) sempre battuto e senza più occasioni a disposizione per le ruote veloci, la scelta risulta maggiormente comprensibile. Non necessariamente condivisibile.
Italbici 4
Una sola vittoria di tappa italiana nell’intero Giro d’Italia: non era mai accaduto prima. Il precedente record negativo – riconducibile alle quattro affermazioni ottenute da nostri connazionali nel 1989 – è stato ampiamente superato in questa edizione numero 100 della corsa rosa. Un bilancio disastroso, che comunque può essere giustificato in parte dalle numerose assenze illustri; chi avrebbe voluto esserci, ma ha dovuto disertare per cause di forza maggiore (vedi Fabio Aru, causa infortunio, ed Elia Viviani, lasciato a casa dalla propria formazione), chi ha preferito puntare su altri obiettivi (come Diego Ulissi, che debutterà quest’anno al Tour de France). Nulla hanno potuto i nostri velocisti al cospetto di Gaviria e compagnia, sebbene i due secondi posti ottenuti da Jakub Mareczko rappresentino un segnale incoraggiante per il futuro; Giacomo Nizzolo e Sacha Modolo, in condizioni fisiche deficitarie, non si sono espressi sui loro livelli abituali e hanno dovuto abbandonare anzitempo la corsa. Non ha certo giovato neppure la decisione (discutibile e discussa) degli organizzatori di invitare due sole squadre professional italiane, nell’edizione della corsa rosa con meno azzurri al via.
Mauro Vegni e gli organizzatori 7
Non si può certo dire che la Centesima edizione del Giro d’Italia abbia deluso le aspettative, regalando peraltro un finale all’insegna della suspense. Merito degli interpreti, certo, ma anche degli organizzatori che hanno disegnato un percorso all’altezza e abbastanza equilibrato. Forse, collocando salite più impegnative negli ultimi giorni di corsa, lo spettacolo avrebbe potuto essere ancora maggiore. Scelta felice – con il senno di poi – quella di inserire la cronometro conclusiva in luogo della più consueta “passerella”: pur favorendo oltremodo uno specialista quale Dumoulin, ha comunque assicurato emozioni forti fino alla fine.
Il pubblico sulle strade 10
La gente che fa da cornice alla corsa ne costituisce il vero e proprio punto di forza. Perché se i corridori fanno la corsa, è il pubblico italiano sulle strade a renderla ciò che è: più che un semplice evento sportivo, un filo rosa che – da centotto anni e cento edizioni – unisce il nostro paese. Cento di questi Giri, dunque.