[the_ad id=”445341″]
La morte di Gino Mader “ci ha toccato nel profondo e ci ha fatto chiedere perché, quale sia il senso di tutto ciò. È vero che il ciclismo è uno sport all’aria aperta, le variabili sono tantissime, ma bisognerebbe arrivare a una standardizzazione dei sistemi di sicurezza, a impedire ad esempio che un arrivo si faccia ai piedi di una discesa, a mettere in sicurezza i punti più critici. A non esaltare il rischio. Il sindacato dei corridori si sta impegnando molto affinché la morte di Gino non sia vana”. Queste le parole, in una intervista a ‘Repubblica’, di Matteo Trentin, che tra pochi giorni parteciperà al Tour de France. Il corridore elvetico morì dopo essere precipitato in un burrone ad alta velocità durante la quinta tappa del Giro di Svizzera. “Fa spavento pensare a quanto si vada veloci, e tutto conta: equipaggiamento, bici ultrafilanti,copertoni più bassi, manubri stretti, leve ruotate verso l’interno, che io vieterei perché è molto più difficile raggiungere i freni. E poi i percorsi sempre più estremizzati verso lo spettacolo. Fermiamoci e parliamone. Noi corridori siamo sempre poco ascoltati, siamo la parte più debole del gioco – ha aggiunto – Il mio diverbio con Rota dopo l’arrivo ai campionati italiani? Si rischia molto, ogni piazzamento conta. Me la sono presa molto sul momento perché veniamo da un momento terribile, la morte di Gino mi ha riportato alla mente quella di Thomas Casarotto, al Giro del Friuli nel 2010. Il giorno prima eravamo in coda al gruppo a ridere e chiacchierare, il giorno dopo quel maledetto Suv in discesa, l’impatto con lo specchietto. Una giornata che mi porto dentro da allora”.
[the_ad id=”1049643″]
[the_ad id=”668943″]
[the_ad id=”676180″