Il mondo del ciclismo è in lutto per la morte di Antoine Demoitié, giovane corridore belga travolto da una moto durante la Gand-Wevelgem di ieri. Una tragedia tanto assurda quanto evitabile, che fa esplodere la rabbia dei corridori. Come capita in questi casi i ciclisti fanno gruppo, si uniscono nel ricordo dello sfortunato collega, ma chiedono a gran voce maggior rispetto per la propria sicurezza. Secondo l’opinione di diversi atleti, infatti, sono troppe le moto in corsa. Un numero, cresciuto sempre più negli anni, che aumenta il rischio di incidenti. È andata sempre bene, fino al tragico epilogo di ieri.
Le classiche in corso di svolgimento in Belgio in questo periodo sono soggette a maggiori controlli dopo gli attentati di Bruxelles del 22 marzo, dettaglio che potrebbe aver indotto gli organizzatori a richiedere maggior presenza di veicoli della polizia. Tuttavia, è emblematica un’immagine della Gand-Wevelgem che sta facendo il giro sui social, condivisa tra gli altri da Michael Rogers e da Stefano Garzelli. Essa ritrae il russo Viacheslav Kuznetsov nel momento in cui conduceva la corsa: è circondato da 8 moto. “Devono essere delle tragiche circostanze a indurre un cambiamento? Per favore Uci, i tuoi corridori hanno bisogno di te ora!”, scrive su Twitter l’esperto australiano della Tinkoff. Gli fa eco Alberto Contador: “Il mio profondo e sentito cordoglio ai familiari e agli amici di Antoine Demoitié. È necessario un controllo delle moto in corsa!”. Manuel Belletti scrive: “Non si può morire così…Mentre fai il tuo lavoro in gara, non abbiamo l’armatura che ci protegge e siamo troppo poco tutelati…RIP Antoine”. Dello stesso avviso anche Andrea Guardini, che si rivolge all’Associazione Corridori Ciclisti Professionisti Italiani: “R.I.P. Antoine! Ci vuole più sicurezza per le strade in corsa!!! Soprattutto sarebbe bene ridurre il numero di moto al seguito”. L’Accpi twitta a sua volta: “Basta basta basta con questo scempio in corsa. I corridori non sono bersagli, devono essere protetti”.
È stato davvero un risveglio choc per i corridori. Quel che è successo al povero Antoine Demoitié poteva capitare a chiunque di loro. Il tweet di Vincenzo Nibali arriva intorno alle 13.30: “Non ci sono parole per l’accaduto che ha travolto il nostro sport. Serve più coerenza in gara e non solo! Rip Antoine“. “Terribile e tragica notizia al risveglio. La famiglia del ciclismo ha perso un fratello”, scrive Daniel Martin della Etixx-QuickStep. Giovanni Visconti sfoga tutta la sua rabbia: “Stiamo diventando quasi insensibili alla morte in questo mondo di merda! Ma come si fa ad accettare ancora tutto ciò! RIP ANTOINE”. Anche Moreno Moser si unisce all’appello: “Il ciclismo sta andando in una direzione troppo pericolosa da anni, purtroppo Antoine ha pagato più degli altri. Vogliamo più sicurezza! RIP”. “Siamo carne da macello. Sono brutte parole, ma questi sono i fatti“, rincara la dose Fabio Sabatini. Il nostro Enrico Gasparotto corre dal 2015 nella Wanty-Gobert ed è stato compagno di squadra di Demoitié. Ha passato la notte insonne, poi questa mattina la notizia peggiore. “È difficile da accettare!”, si è limitato a scrivere l’esperto corridore friulano.
Non si fa attendere nemmeno il commento di Gianni Bugno, presidente dell’Associazione Corridori Internazionale (CPA): “In merito al terribile incidente che ha causato la morte del corridore Antoine Demoitié durante la corsa Gent-Wevelgem, il CPA e tutti i corridori chiedono che sia immediatamente fatta luce sulla dinamica dell’incidente e sulle circostanze che lo hanno provocato nonché sulle eventuali responsabilità delle parti coinvolte. In questo momento di tristezza e dolore per la morte di Antoine non vogliamo fare polemiche – prosegue Bugno – Ma è tanta la frustrazione che abbiamo dentro. Abbiamo sempre sostenuto che la sicurezza dei corridori deve essere al primo posto nelle discussioni delle alte sfere del ciclismo e all’ultima riunione del Consiglio del Ciclismo professionistico abbiamo espressamente chiesto che vengano comunicate in fretta le strategie elaborate recentemente per il miglioramento della sicurezza durante le corse. Non voglio accusare nessuno, ma fare riflettere sulle responsabilità di ognuno nell’assicurare che sia sempre mantenuto altissimo il livello di attenzione, consapevolezza e controllo sulle norme di sicurezza durante ogni corsa ciclistica“. Nel frattempo, il Team Wanty-Gobert ha annunciato per questa sera una conferenza stampa, nella quale proverà a fare chiarezza sulla dinamica dell’incidente che ha tolto la vita al giovane ciclista belga.
Vedremo quale sarà la reazione dell’Unione ciclistica internazionale, che per il momento esprime la propria vicinanza alla famiglia, agli amici e al team dello sfortunato corridore e promette di cooperare con le autorità belghe per chiarire le circostanze del tragico incidente. Di certo l’organo presieduto da Brian Cookson non può ignorare che esista un serio problema. Non c’entrano i motorini e il cosiddetto doping tecnologico, ma la sicurezza dei professionisti del pedale. Va bene il nuovo protocollo che consente l’annullamento preventivo delle tappe in caso di maltempo, ma quello delle moto che “attentano alla vita” dei corridori è un film già visto e rivisto negli ultimi tempi. Ora che c’è scappato pure il morto, l’Uci non può più far finta di niente. Era dal Giro d’Italia 2011 che un ciclista non perdeva la vita in gara. Allora il belga Wouter Weylandt cadde da solo nella discesa del Passo del Bocco, una tragica fatalità che purtroppo rientra nei pericoli di questo sport. Nel caso di Antoine Demoitié è intervenuto un mezzo esterno ed è perciò ancor più difficile da accettare.