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Quando il ciclismo era cosa diversa, le strade in bianco e nero e la camera d’aria si portava in spalla. Un altro pezzo di quel ciclismo, ieri, è andato via: Loretto Petrucci, classe ’29, è morto nella sua casa di Pistoia. Le cronache lo ricordano in modo particolare per il suo bis consecutivo alla Milano-Sanremo, 1952 e 1953, un onore che solo i più grandi hanno avuto. La doppietta in due anni di seguito, infatti, riuscì solo a Costante Girardengo, Gino Bartali, Fausto Coppi, Eddy Merckx (due volte), Roger De Vlaeminck ed Erik Zabel (anche lui due volte).
La storia di Petrucci è quella di un gregario ribelle, dal fisico possente, capace di potersi imporre negli sprint così come nelle azioni di forza. Finisce alla Bianchi nel 1952, la stessa squadra del Campionissimo Fausto Coppi. Lo prendono per fargli da spalla, ruolo che a Petrucci non andrà mai giù. Nello stesso anno, si consuma un vero e proprio atto di “lesa maestà”: Petrucci, durante la Milano-Sanremo, scatta sul Capo Berta, in faccia al capitano Coppi. La vittoria è sua, ma le conseguenze del gesto saranno gravi.
Petrucci al termine della stagione cambia squadra, anche se la sua gamba resta la stessa. Il 1953 è l’anno di grazia, in cui trasforma in oro tutto quello che le sue due ruote toccano. Il bis alla Sanremo è servito, così come la vittoria alla Parigi-Bruxelles e i piazzamenti nelle classiche del nord.
Nel 1954, poi, si concretizza la vendetta del Campionissimo. Petrucci si presenta alla Sanremo, la sua corsa, da grandissimo favorito. Sembra indovinare l’azione giusta, ma il gruppo – tirato da un Coppi a cui contava più far perdere l’avversario che vincere lui stesso – lo raggiunge a pochi chilometri dal traguardo. Petrucci insiste e ai 300 metri dall’arrivo fa partire la volata. Le leggende narrano di un Pino Favero, storico gregario di Coppi, che limita i movimenti del pistoiese appoggiando la mano sul suo sellino.
Il tris consecutivo, l’impresa mai riuscita a nessuno, gli sfugge così. Negli annali del ciclismo, Petrucci sarà ricordato come l’uomo dell’incompiuta, del trionfo portatogli via da chi non accettava che, nella storia, potesse esserci posto anche per altri.