Gli italiani preferiscono la Ronde. Del resto, è così che si dice in fiammingo. La “ronde”, la corsa. Senza ulteriori specificazioni. La prova in bicicletta per antonomasia. Che piace tanto ai corridori di casa nostra. I ciclisti azzurri, infatti, hanno alzato le braccia per ben 10 volte sul traguardo di una delle classiche monumento: l’Italia è la nazione più vincente – Belgio escluso – sulle strade del Giro delle Fiandre. Una gara che, in 101 edizioni, ha fatto la storia di questo sport, ha ispirato libri e documentari, ha esaltato intere generazioni di appassionati. Tra il mito e la cronaca, ecco cinque cose da sapere sulla corsa dei campioni.
LA SPIA CHE NASCONDEVA I DOCUMENTI RISERVATI NEL TUBOLARE DELLA BICICLETTA – Un espediente destinato a fare scuola e che venne utilizzato anche da Gino Bartali per salvare gli ebrei dalla deportazione. L’inventore di questo modo bizzarro di trasportare documenti riservati fu Paul Deman, il primo vincitore del Giro delle Fiandre. La sua è una storia a cavallo della Grande Guerra: il successo nel 1913 (primo di 37 corridori partecipanti), l’attività di spionaggio contro i tedeschi, la fucilazione mancata per la tempestiva firma dell’armistizio. Deman infilava le carte proibite nel tubolare della sua bicicletta. Fu catturato dai tedeschi che ne firmarono la condanna a morte. In quei giorni, però, la guerra stava volgendo al termine e non ci fu il tempo di eseguire la sentenza. Per il primo leone delle Fiandre, fu un sospiro di sollievo.
PROVACI ANCORA TOM! – Le classiche del nord hanno un padrone assoluto. Strano scorrere la lista e trovare il suo nome solo negli anni 2000. Non Merckx, non De Vlaeminck, non Coppi. È Tom Boonen il cannibale delle corse monumento. Non fosse altro perché è stato lui, insieme a Rik Van Looy qualche anno prima, a vincere nello stesso anno di grazia (il 2012, per la precisione) Gent-Wevelgem, Giro delle Fiandre e Parigi-Roubaix. Le tre corse del pavé. Tom Boonen, oggi corridore della Quick-Step, è all’ultimo anno di attività. In questa prima parte di stagione si è messo al servizio del compagno di squadra Fernando Gaviria, astro nascente delle ruote veloci. Ma per Fiandre e Roubaix, il belga ha chiesto (e ottenuto) carta bianca: sarà lui il capitano della formazione biancazzurra, sarà lui a provare a incidere il suo nome nei sampietrini in maniera indelebile. La sua squadra glielo deve, il ciclismo glielo deve. Poi, dopo la Roubaix, chiuderà i battenti. Senza aspettare i grandi giri. Niente gli ha dato tante soddisfazioni come queste corse in cui conta essere leone per un giorno.
IL RITORNO DEL MURO – Il Giro delle Fiandre ha, come sua caratteristica principale, quella della presenza di tantissimi muri (quest’anno saranno 18), lastricati con ciottoli rotondi. Alla pendenza, insomma, si aggiunge la difficoltà del suolo sconnesso. Quest’anno, dopo qualche edizione di pausa, viene riproposto lo storico Muur di Grammont. In cima, c’è una chiesa. Ed è quasi una prassi consolidata per tutti i corridori, credenti o non credenti, guardare l’edificio sacro per ringraziare qualcuno molto in alto. Arrivare in cima non è una cosa semplice, spezza le gambe. La salita è lunga solo un chilometro, ma in quel tratto breve si registra un dislivello di ben 90 metri. La pendenza media è del 9%, ma quella massima supera il 20%. Pedali, ci metti dentro tutta la forza, ma hai la sensazione di stare fermo. Il Grammont è posizionato a metà gara e, quindi, non sarà decisivo. Ma contribuirà a rendere ancora più dura una corsa che verrà tirata a tutta dal primo all’ultimo metro.
CHE IL TEMPO SIA CLEMENTE – Se c’è una cosa che è più faticosa del Giro delle Fiandre è il Giro delle Fiandre sferzato dalla pioggia. Non si contano le edizioni della corsa battute dal maltempo. Puntualmente, la scena che si propone è quella della folla ai bordi delle strade in impermeabile e mantelli (non si rinuncia al Fiandre, dovesse cascare il mondo), dei torrenti di acqua che vengono giù dai muri, delle pietre lucide e scivolose che nascondono un’insidia in ogni fuga. Ma l’edizione da tregenda, quella che rimase negli occhi di tutti, fu quella del 1985. La vinse Eric Vanderaerden, più forte del vento. Il belga cadde e si rialzò più volte, con una determinazione che i partecipanti di quella corsa avevano abbandonato, sciolta nel temporale. Fu proprio il Grammont a certificare la sua vittoria. Vanderaerden “bagnò” il suo palmarès con quella prestigiosissima vittoria.
GLI ITALIANI CI PROVANO GUSTO – Dieci volte il Giro delle Fiandre ha dovuto accettare, storcendo un po’ il naso, la vittoria di un italiano. Belgio e Italia, incroci di migrazioni. Il primo – e il più vincente – fu Fiorenzo Magni: la sua fu una tripletta storica, dal ’49 al ’51. Grazie ai tre successi sui muri fiamminghi, si guadagnò il soprannome di “Leone delle Fiandre”. Poi, fu la volta di Dino Zandegù (1967), di Moreno Argentin (1990), di Gianni Bugno (1994), di Michele Bartoli (1996), di Gianluca Bortolami (2001) e di Andrea Tafi (2002). L’ultimo azzurro a sorridere sul traguardo belga fu Alessandro Ballan nel 2007. Da allora, solo Filippo Pozzato (che sarà al via dell’edizione 2017 con la maglia della Wilier Triestina) ci andò vicino: ma nel 2012, come già detto, trovò sulla sua strada un immenso Tom Boonen.