L’ex ciclista, Danilo Di Luca, ha raccontato in esclusiva a Vanity Fair, come funziona il doping. Una lunga intervista rilasciata al settimanale a pochi giorni dal Giro d’Italia che partirà in Olanda il 6 maggio. Ecco alcuni passaggi a iniziare da quello su Pantani: “Lo hanno inculat al 300%. Era a fine Giro con dieci minuti di vantaggio sul secondo, in quelle condizioni non rischi”.
E ancora: “Tutti i corridori usano l’EPO, l’eritropoietina. Metti il laccio e fai l’iniezione come un tossico. Quando capita un fuori vena riprovi nell’altro braccio. Anche sottocute, nella pancia, nelle gambe”. Di Luca vinse il Giro nel 2007 e nel 2013 è stato il primo italiano radiato per doping a causa dell’ormone EPO. Racconta di buste di sangue nelle borse frigo o nascoste nei corridoi degli alberghi: “Per voi è un racconto inquietante, per un ciclista fa parte del mestiere, della normale preparazione. Ci sono sostanze lecite e illecite. In uno sport di durata, l’ Epo fa la differenza. Vinci se ti curi meglio degli altri. Le squadre? Se vieni trovato positivo fingono di non conoscerti più. Ma chi viene beccato è perché sbaglia i tempi, si sa esattamente quanto tempo deve passare prima di un controllo”. Di Luca ha scritto un libro sulla vicenda “Bestie da vittoria” in uscita tra pochi giorni e a Vanity Fair rivela anche: “Ho iniziato a doparmi seriamente nel 2001, il mio medico di allora (Carlo Santuccione, radiato dal Coni) ha voluto che aspettassi per non farmi bruciare il fisico troppo presto. Io vincevo all’inizio, poi con il passaggio di categoria in 50 andavano più forte. La differenza la faceva il doping. Non possiamo avere le ricette, i ciclisti si procurano tutto in nero, su Internet. Lo sanno tutti nell’ambiente. Si parla in codice: ‘Sei preparato?’”. Di Luca ne ha anche per i tifosi: “Non sono ciechi, ma se ne fregano. Mi chiedono ancora l’autografo, le imprese restano”. La scoperta della positività lo ha reso libero: “Correvo solo per soldi, avevo perso il gusto. Ho scritto questo libro per raccontare la vita assurda dei ciclisti. Il doping non dà dipendenza, ma potere: chi vince porta soldi a se stesso, ma anche agli sponsor, al team”.