Fabio Aru si è raccontato in una lunga intervista a La Gazzetta dello Sport all’indomani della firma con la Qhubeka Assos. “Non mi interessa quello che pensano gli altri. Già al primo Giro d’Italia andato male mi davano per finito. Si guarda il risultato e basta, senza andare a capire quello che c’è dietro. Errori, miei ma non solo, problemi fisici, l’affrettare i tempi di recupero” ha spiegato il corridore sardo, “Io so di essere un professionista al 200%, cammino a testa alta perché ci metto cuore, allenamento e sacrifici“.
“Se il giorno dopo la morte di mio nonno avrei dovuto controllarmi e almeno finire la tappa al Tour? Sì. Lo riconosco e mi vergogno di quello che è successo, dell’immagine che è passata” ha aggiunto Aru, “ci sta che il general manager possa essere rimasto deluso. Capisco meno le accuse a caldo di Saronni. Se ne sono accorti tutti che sono state parole dette solo per fare male. Non ne sapeva niente. Chi mi giudica da quella giornata non capisce nulla di ciclismo. E di niente. Certo, si poteva gestire meglio, mentre avrei avuto bisogno di sostegno. Ma la figuraccia l’ho fatta io, il naso l’ho picchiato io“.
“Se ho pensato di lasciare il ciclismo? A volte ho provato un senso di schifo per i comportamenti di alcune persone, a volte c’è stato un accanimento esagerato” ha spiegato Fabio Aru, “ho fatto i miei errori, quando va male viene accentuato tutto. Anche fare i conti in tasca a una persona è una cosa squallida. Io ho avuto la fortuna grazie alla bici di avere una vita agiata ma resto quello di sempre, umile e generoso“. “Non penso né al passato né al futuro, ma cerco di vivere questa nuova esperienza con la massima tranquillità e spensieratezza. Dovrà essere la strada a parlare per me” ha concluso il sardo.