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Il ciclismo è da sempre uno sport che regala delle grandi soddisfazioni all’Italia, dove sono cresciuti diversi talenti delle due ruote, su tutti gli indimenticabili Fausto Coppi e Gino Bartali. Negli ultimi anni stanno emergendo nuove leve, che fanno ben sperare per il futuro del ciclismo azzurro.
Il successo non è affatto semplice da raggiungere in una competizione, ma con determinazione, forza di volontà ed un pizzico di fortuna si possono centrare degli obiettivi che, in partenza, sembravano quasi impossibili. Nel ciclismo, poi, le difficoltà sono ancora più evidenti, visto l’elevato numero di contendenti in gara, soprattutto in una grande corsa a tappe, in cui la gestione della fatica diventa determinate se si vuole lasciare il segno.
Nell’ultima edizione del Giro d’Italia, quella del 2019, sono state due le più belle rivelazioni tra i corridori di casa: Valerio Conti della UAE Emirates, che ha vestito la maglia rosa dalla 6a all’11a tappa, e Giulio Ciccone della Trek-Segafredo, vincitore della 16a tappa di 194 km da Lovere a Ponte di Legno, dopo aver scalato il Mortirolo, e anche della maglia azzurra di miglior scalatore.
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La 16a tappa, in realtà , nasconde un particolare dettaglio, poiché l’iniziale tracciato avrebbe dovuto essere di 226 km, ma a causa dell’impraticabilità del passo del Gavia, generata dal maltempo, il chilometraggio totale viene ridotto a 194 km con l’originaria Cima Coppi sostituita dalle salite di Cevo a Aprica.
Il Giro d’Italia numero 102 inizia molto bene per Giulio Ciccone che, sin dalla prima tappa, si cuce addosso la maglia azzurra, perdendola soltanto nel 12° giorno di gara a favore di Gianluca Brambilla, per poi riconquistarla nello stage successivo. L’abruzzese della Trek-Segafredo, nel corso della manifestazione, non si nasconde, palesando il suo desiderio di tornare alla vittoria nella corsa rosa, dopo l’ultimo successo sul traguardo di Sestola, nella 10a tappa del 2016.
Giunti alla fatidica 16a tappa dell’edizione 2019, caratterizzata da freddo, pioggia e vento, Ciccone decide di inserirsi subito nella fuga di giornata, in cui figurano molti atleti a caccia della gloria personale, ma anche alcuni punti di appoggio per i capisquadra, tra questi Amador, per la maglia rosa Richard Carapaz, e Caruso, in favore di Vincenzo Nibali.
L’attenzione mediatica è rivolta principalmente al gruppo degli inseguitori, in cui i due rivali sopracitati sono braccati da Primoz Roglic, Mikel Landa e Miguel Angel Lopez, anche loro in corsa la classifica generale. La tappa, però, entra nel vivo quando si inizia a salire sul Mortirolo, la ‘Montagna Pantani‘, dove Ciccone, nonostante abbia problemi nell’allacciarsi la mantellina, riesce a transitare per primo, togliendosi una grandissima soddisfazione.
L’intensità della pioggia aumenta, rendendo la discesa successiva ancor più impegnativa e pericolosa, tant’è che i corridori la affrontano con molta prudenza. Nell’assalto finale verso Ponte di Legno, la fatica del Mortirolo si fa sentire, infatti, Jan Hirt si attacca alla ruota di Giulio, rifiutandosi in più occasioni di dare il cambio all’abruzzese, per aiutare il suo capitano Miguel Angel Lopez a ricongiungersi con la coppia di testa. Lo scalatore della Trek-Segafredo non gradisce e manifesta tutto il suo dissenso mandando palesemente a quel paese il ceco dell’Astana.
Alla fine la strategia di Hirt non paga, infatti, è Giulio Ciccone a tagliare per primo il traguardo di Ponte di Legno e a conquistare la vittoria di tappa, nel giorno del Mortirolo, la montagna che ha creato il mito di Marco Pantani. Il 24enne abruzzese, che nel 2016 è diventato il terzo ciclista più giovane a vincere una tappa del Giro d’Italia dopo Coppi e Marchisio, ritrova il successo nella corsa rosa, mantenendo anche la maglia azzurra di leader della classifica scalatori che, poi, porterà fino alla cronometro conclusiva di Verona.
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