“Ricordo benissimo che oggi è il trentanovesimo anniversario di questa drammatica notte di Bruxelles. Non si può, non posso dimenticare. Il ricordo, negativo nonostante la vittoria sul campo, è dentro di me e ci resterà per sempre”. Lo ha detto all’Adnkronos l’ex giocatore della Juventus, Zbigniew Boniek, in campo nella tragica notte dell’Heysel in cui morirono 39 persone allo stadio nella finale di Champions League del 1985: “Quella tragedia mi colpì al punto che decisi di donare tutto il premio partita alla fondazione a sostegno delle vittime. Fui l’unico giocatore a farlo, sebbene quella, avendo già firmato con la Roma, fosse la mia ultima partita con la Juventus. Noi quella partita non volevamo giocarla. Fummo costretti a uscire, ci dissero che il Liverpool e gli arbitri ci aspettavano. A quel punto sapevamo che non c’era una soluzione positiva. Se avessimo vinto significava che non ce ne fregava nulla dei morti, se avessimo perso che non li onoravamo. Una volta sul campo, da uomini, abbiamo deciso che l’unica nostra soluzione era vincere e ancora oggi sono strafelice che riuscimmo in quell’impresa. Mi dispiacque, anzi, che l’arbitro mi fischiò il calcio di rigore, perché avrei fatto gol”.
La leggenda polacca continua: “Mi sembrava di stare in campo di concentramento. Quando la palla usciva fuori era anche pericoloso andarla a riprendere perché c’erano i rottweiler al guinzaglio dei poliziotti. Non posso dimenticare. Non si può morire così, non si può andare a guardare la partita della tua squadra amata e non tornare a casa. Ricordo benissimo che quel giorno allo stadio c’erano anche un padre e suo figlio, morti tutti e due, erano di Cagliari. E’ stato anche per questo che decisi di versare tutto il mio premio alla fondazione che si occupava di dare sostegno a chi aveva perso la vita”.