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“La nuova generazione di americani è forte perché spesso ha avuto la possibilità di crescere in Europa, o trasferircisi presto. Ad esempio, McKennie mi ha ispirato e spinto a trasferirmi qui”. Così Gianluca Busio, centrocampista del Venezia, in un’intervista a Dazn nel format Culture: “La mia persona preferita di sempre è Michael Jackson. Sono cresciuto ascoltandolo. Leggenda. Nella mia vita passata ero un cantante. Il mio preferito è The Weekend. Mi piace la vita che faranno i cantanti: per esempio, andare in studio a registrare. Il calcio non è mai un lavoro per me, è una passione, un divertimento, qualcosa che mi fa evadere da tutto il resto”. Quindi un aneddoto sulla famiglia: “Quando sono nato, i miei erano indecisi se chiamarmi Christian o Gianluca. Mio cugino però è nato due giorni prima di me, l’hanno chiamato Christian e quindi hanno deciso per Gianluca. Mio padre è di Brescia, è cresciuto da tifoso dell’Inter e quindi lo siamo anche io e mio fratello. Non era forte a calcio ma era molto appassionato. In America la domenica dopo la colazione guardavamo la Serie A insieme. Era come una tradizione”.
Mentalità a stelle e strisce per Busio, anche dal punto di vista della cura dell’immagine: “Justin Bieber e David Beckham sono i miei modelli per quanto riguarda la moda. Oggi non sei più solamente un calciatore, ma anche un brand. Quando smetti, il tuo brand deve rimanere forte, non può fermarsi. Per qualcuno è una noia ma per me non è un problema perché sono giovane e figo”.
Busio poteva anche non diventare un calciatore: “Ho giocato a tutti gli sport: ho iniziato con il calcio, poi sono passato al football, ero un running back perché ero veloce ma poi sono diventati tutti grossi tranne me e sono tornato al calcio, facendo anche basket. Quando avevo 13 anni, giocavo con la mia squadra in North Carolina e con le nazionali giovanili. La mia squadra in North Carolina però non aveva la prima squadra in MLS. Il mio migliore amico di Nazionale era Gio Reyna e, parlando con lui e altri compagni di Nazionale, ho capito che avrei dovuto cambiare Stato per giocare in una squadra professionistica. Così, quando il Kansas City si è interessato a me, io mi sono trasferito lì a 14 anni. È stato difficilissimo: ero al primo anno di High School e vivevo in una host family. Dicevo a mia madre che volevo tornare indietro ma lei mi disse: ‘Aspetta un po’ e poi vediamo’. Quando tornai a casa per il primo Natale ne parlammo ma io ero già sereno: ‘Ok, resto in Kansas’. Dopo un anno, ero in prima squadra”.
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