Il centrocampista dell’Udinese Rolando Mandragora ha parlato di sé in diretta su Instagram insieme a ‘Cronache di Spogliatoio’: “Gasperini non è uno che parla molto, sia con i grandi che con i giovani, ma ti dà tanto come allenatore e come persona. Il mio esordio è arrivato contro la Juventus, giocavamo la sera e siamo andati al campo la mattina per la rifinitura. Andammo a pranzo in hotel e Burdisso e De Maio scherzavano con me: ‘Oh, occhio che il mister ti fa giocare’. Avevo 17 anni e pensavo: ‘Vuoi vedere che è arrivato il momento?’. Gasperini la formazione la dice allo stadio, siamo scesi negli spogliatoi, sentimmo il terreno di gioco. Tornammo negli spogliatoi e annunciò la formazione. Dissi: ‘È davvero arrivato questo momento’. Gasp mi ha fatto l’occhiolino. Fortunatamente abbiamo vinto. Quell’occhiolino mi tolse pressione. Significò ‘dai, credo in te’. C’era uno stadio pieno e lo avevo visto solo dalla panchina. Il mio percorso giovanile è stato ricco di rifiuti che mi hanno forgiato molto caratterialmente. Mi sento in dovere di dire ai ragazzi che, nonostante i ‘no’ che possono arrivare, non devono abbattersi, bensì perseverare nel lavoro”.
L’ex giocatore del Pescara ha raccontato quali sono gli aspetti che predilige in campo: “Mi piace molto visualizzare in allenamento le situazioni che mi posso trovare in partita. I ritmi sono sempre più alti e ogni dettaglio può fare la differenza. Il lavoro può migliorarti e a me piace lavorare sui piccoli aspetti. L’allenamento è la cosa da fare con maggiore frequenza: solo il ripetere ti porta a fare le cose in modo migliore. E devi essere bravo a conoscere come si muovono i tuoi compagni: Lasagna attacca la profondità, Okaka ti viene incontro. De Paul la vuole sui piedi, Fofana cerca lo spazio. Preferisco il leader silenzioso. Quando ero giovane ho avuto l’opportunità di guardare Burdisso, sapeva sempre quando intervenire e quando scherzare. Quando ridere, quando essere duro. Non era di tante parole ma sapeva trovare il momento. Preferisco farmi sentire quando conta, non sempre o in maniera eccessiva. Il capitano non deve essere un dittatore. Il play deve dialogare con i compagni di reparto e gli attaccanti in fase di possesso, con i difensori in fase di non possesso. A me piacciono entrambe le fasi, il calcio è in continua evoluzione e farne una sola fare potrebbe non bastare. Devi essere completo per ritmo e velocità di pensiero”.
Mandragora ha spiegato le difficoltà di ambientazione alla Juventus, confidando anche il suo modello di riferimento e come si vede tra qualche anno: “Ho fatto il salto da Pescara a Torino, sono arrivato da infortunato e ho iniziato ad allenarmi a marzo,mentre eravamo in corsa su tutte e tre le competizioni. Andavano al triplo, non c’era mai recupero e la qualità dei passaggi era immensa. Diventa difficile vincere un duello o recuperare il pallone. Quando entri in uno spogliatoio così importante c’è una mentalità vincente che si respira, è nell’aria. Gli attestati dei tifosi sono indescrivibili. Da piccolo mi piaceva chiedere foto e guardare i campioni: li vedevo come supereroi. Quando un bambino mi chiede una foto oggi è emozionante potergliela regalare. Pirlo. Mi è piaciuto seguire De Rossi e Gerrard, mi piace Busquets. Il numero 38 con cui ho esordito lo porto dietro perché è stato il mio primo numero. Spero di essere in grande forma per poter giocare a livelli alti. Per noi calciatori fare progetti a lungo termine è difficile, cerco di vivere la giornata per trovarmi davanti un futuro luminoso”.