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“Per me la parola alternativa non era contemplata. Quando nasci a Scampia non sai cosa c’è fuori, non vedi altre prospettive. Per me l’unica parola era sopravvivenza. Le partitelle erano una guerra. C’era di tutto. E nessuno voleva perdere. C’erano bambini, c’erano figli di mafiosi, c’erano pregiudicati, e soprattutto c’era tanta competitività. Entrate dure, agonismo puro. Io il rispetto me lo sono guadagnato sul campo. Ero bravo e per questo mi rispettavano”. In una bella intervista concessa al progetto Cronache di spogliatoio, Armando Izzo ha raccontato la propria infanzia vissuta a Scampia, uno dei territori più complicati di Napoli, e del rispetto che si era riuscito a costruire per via delle sue abilità nel gioco del calcio: “Avevo 10 anni e in me era presente la consapevolezza di un bambino che doveva portare 20 euro in più a casa, oltre ai 20 che guadagnava mia mamma ogni giorno. Non avevo tempo per sbagliare strada. Quando torno a Scampia un loro abbraccio vale più di qualsiasi gesto d’amore. Il senso di unione che si crea in quei luoghi è spiegabile solo attraverso le esperienze. Quando non hai niente è più facile condividere tutto”.
E’ per questo che nessuna sfida spaventa Izzo, nemmeno la difficile salvezza da ottenere coi granata è paragonabile a quello che ha vissuto nel corso della sua vita: “Non posso permettermi di mollare. È la mia forza, non posso perdere il coltello tra i denti. La fame mi ha portato dove sono e non ho paura di tornare indietro. Né di guardare in quel buco nero. Ho sofferto quando uscirono le voci del calcioscommesse. La mia immagine davanti a tutti: il mio sogno stava svanendo all’improvviso. Ho avuto un lampo: non volevo me lo portassero via”.
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