Editoriali

Il bivio

Simone Inzaghi - Foto Antonio Fraioli

Maurizio Sarri ha fallito. Nonostante la vittoria dello scudetto, il tecnico napoletano non è riuscito ad inculcare nel gioco, nella mentalità e nel carattere della Juventus le qualità messe in mostra sulla panchina del Napoli (con cui andò vicino al tricolore) e su quella del Chelsea (con cui trionfò in Europa League). Dopo la sconfitta in finale di Coppa Italia, l’eliminazione agli ottavi di finale di Champions League subita dal Lione sembra quasi il naturale epilogo di un’avventura mai davvero entusiasmante, in cui gli esigenti tifosi bianconeri non si sono affatto impegnati a rasserenare il clima attorno all’allenatore del dopo Allegri.

Di conseguenza, ufficialmente esonerato Sarri, è già tempo di scegliere colui che sarà il nuovo allenatore della Juventus. Posto che certamente Andrea Agnelli e Pavel Nedved svolgeranno un ruolo tutt’altro che secondario nella complicata decisione, la “patata bollente” è soprattutto nelle mani di Fabio Paratici. E a Fabio Paratici c’è un nome che, più di tutti, ispira fiducia e muove le corde giuste pur non avendo mai lavorato insieme. Sarà che la distanza tra la sua Borgonovo Val Tidone e la Piacenza del tecnico in questione distano appena 22 km, sarà che la Lazio delle ultime stagioni ha incantato, battuto e spaventato la Vecchia Signora, sarà che l’italica identità affascina e continua ad affascinare, da sempre, l’universo Juve. È Simone Inzaghi il primo nome sulla lista di Fabio Paratici.

L’ex attaccante biancoceleste ha dimostrato a suon di risultati che, una volta appesi gli scarpini al chiodo, diventare allenatore sia stata la decisione migliore che potesse prendere. Magnifico gestore dello spogliatoio, “Inzaghino” sa mantenere il determinante equilibrio tra l’imposizione delle proprie idee e l’adattamento alla “forza lavoro” messa a disposizione dalla società. Una società, quella capitolina, che vive un’evidente crescita resa possibile proprio dalle capacità di colui che guida e manda in campo i giocatori. Il rapporto tra la Lazio e Simone Inzaghi è il trionfo del “do ut des”, per la gioia del latinista presidente Lotito: il club tutela, a tratti coccola, e mette nelle condizioni di far bene l’allenatore, e lui sfrutta al massimo il potenziale tecnico, atletico e umano a disposizione. Certo, non parliamo di una squadra che la prossima stagione punterà alla vittoria della Champions League, ma i biancocelesti sono l’emblema di come programmazione ed equilibrio possano fare la differenza nel calcio moderno.

Ma adesso, Simone Inzaghi cosa farà? Da una parte le sicurezze di casa, con nuove ambizioni e un nuovo palcoscenico internazionale da calcare per la prima volta in giacca e cravatta. Con un mercato che, per di più, si annuncia scoppiettante, quasi ad annunciare che da adesso in poi la Lazio non si pone limiti e ingaggiare un’icona del calcio spagnolo e della Premier League come David Silva può trasformarsi rapidamente da sogno a realtà.

Oppure la grande sfida. Sedersi sulla panchina della Juventus, dominatrice assoluta dell’ultimo decennio del calcio italiano, con l’obiettivo minimo di confermarsi campioni d’Italia e l’obiettivo “vero” di conquistare quella Champions League che ha ormai assunto le sembianze dell’ossessione per il popolo bianconero. Con la consapevolezza di dover vincere e soprattutto convincere più di Maurizio Sarri, più o meno da subito, per non finire in pasto all’indomabile critica che ci metterebbe poche settimane a diventare il nemico in più.

Il bivio di Simone Inzaghi vede da una parte la possibilità di fare da grande antagonista, con meno pressione e più spensieratezza, con meno doveri ma anche meno risorse; dall’altra parte la chance di comandare, con l’obbligo di guardarsi alle spalle ma allo stesso tempo di osare, spingendosi dove nessuno, di questi tempi, è mai giunto. Lazio o Juventus, questo è il problema.

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