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Due settimane di sosta ci hanno restituito una Serie A, per quanto fosse possibile, ancora più pazza di prima. Basti vedere cos’è successo tra Brescia e Bologna, in una partita che sulla carta tutto sembrava tranne che spettacolare, alla vigilia. O potremmo parlare anche del destino toccato alla Juventus, che avevamo lasciato in pole position dopo la seconda giornata. E invece i bianconeri hanno perso il loro primato per la prima volta dopo 588 giorni, a causa dei due punti buttati contro la Fiorentina, nella gara d’apertura del terzo turno.
Anche se, più che di due punti buttati, per Sarri è proprio il caso di parlare di un punto guadagnato. Lo stesso tecnico della Signora, nel dopo-gara, ha ammesso che probabilmente una squadra con meno esperienza della sua sarebbe uscita sconfitta dal Franchi. Lo 0-0 finale non rende l’idea di quello che è stato un incontro tatticamente dominato dalla Fiorentina, che ha trovato l’intensità giusta per soffocare i bianconeri nella loro metà campo. E mentre ora a Montella non resta che preoccuparsi dello squilibrio tra prestazioni offerte e risultati raccolti – che per la viola inizia ad essere un problema molto serio – i campioni d’Italia non possono far altro che consolarsi con una serie di attenuanti, comunque valide, ma che non possono giustificare una prestazione insufficiente come quella di sabato pomeriggio. Il caldo, gli infortuni, le solite difficoltà per i giocatori che rientrano dagli impegni con la Nazionale: è tutto vero, ma non si può non far arrivare al tiro uno dei tuoi attaccanti neanche una volta. Non se ti chiami Juventus e stai cercando di cambiare mentalità, di arrivare ai risultati attraverso un’idea di gioco. Lo abbiamo già detto: ci vuole pazienza e gli incidenti di percorso, in questi casi, più che incidenti sono tappe di crescita. Sarà importante già mostrare una reazione domani sera al Wanda Metropolitano: in caso contrario, il rischio di entrare in un ciclo di negatività diventerebbe molto grosso.
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I problemi della Juve hanno permesso all’Inter di balzare in vetta alla classifica. Un’Inter che è sempre più “di Conte”, vale a dire squadra costruita ad immagine e somiglianza del proprio allenatore e che in campo riesce ad esprimerne con ottima efficacia le idee. Il carisma di Godìn, il sacrificio di Lukaku e la qualità di Sensi – sicuramente MVP di queste primissime settimane di campionato – sono tutti aspetti diversi della squadra che l’allenatore interista aveva in mente in estate, e che ha immediatamente preso forma come una serie concorrente al titolo. Certo la strada è ancora lunghissima e la vittoria contro un’Udinese in inferiorità numerica per più di un’ora (per una vera e propria scemenza di De Paul) ci dice poco, ma occhio perché i margini di miglioramento rispetto a quello che abbiamo visto finora ci sono eccome, soprattutto nei singoli, vedasi i vari Lazaro, Barella o Sánchez.
La prossima avversaria dell’Inter sarà il Milan, che invece “di Giampaolo” ha pochissimo e ha risicato un’altra vittoria contro una neopromossa, stavolta l’Hellas Verona, per 0-1. Anche in questo caso la gara è stata segnata da un’ingenuità di Stepinski, che ha lasciato i suoi molto a lungo in 10, e in generale da diversi episodi. La vittoria è arrivata, Piątek si è sbloccato ma la negatività attorno ai rossoneri resta, perché le difficoltà di questa squadra nello sviluppare una fase offensiva quantomeno decente rimangono. A una settimana dal derby di Milano, sul campo c’è un abisso fra la sponda rossonera della città e quella nerazzurra. A Giampaolo l’arduo compito di trovare il modo per colmare questo gap.
Nelle zone più alte della classifica sorridono anche Napoli e Atalanta. Gli azzurri hanno ritrovato il sorriso grazie al fattore M: le parate di Meret e i gol di Mertens hanno permesso di affondare una Samp sempre più in difficoltà, anche a causa di un calendario piuttosto ostico. La Dea invece ha raccolto i tre punti a Marassi grazie ad una splendida giocata di Duvàn Zapata nel recupero: un gol di rabbia, quasi a spazzare via gli alti e bassi dell’inizio di stagione dei bergamaschi, che ora guardano alla Champions con ottimismo. Sempre nell’ottica della corsa-Champions, la Roma ha dato un’altra prova del proprio bipolarismo prima affondando il Sassuolo con un poker di reti in 33 minuti, per poi calare nella ripresa e concedersi alle giocate di un Berardi straripante in questo settembre. Le idee di Fonseca convincono, i nuovi acquisti (su tutti Veretout e Mkhitaryan) sembrano ben integrati e Pellegrini sulla trequarti illumina; ma la fase difensiva traballa troppo, specie rispetto alle altre rivali nella lotta al quarto posto.
Certo anche l’altra metà di Roma, quella laziale, farà fatica a guadagnarsi un posto nell’Europa che conta con prestazioni come quella di domenica. La sconfitta contro la SPAL, nonostante l’iniziale vantaggio, rappresenta per la Lazio e Inzaghi l’ennesimo manifestarsi di una sindrome che impedisce ogni anno ai biancocelesti di approfittare dei momenti peggiori delle avversarie. Discorso analogo si potrebbe fare per il Torino, clamorosamente caduto nel posticipo di ieri in casa contro il Lecce nella partita che avrebbe potuto mandare i granata in vetta alla classifica. È una Serie A pazza, in cui sembra possa davvero succedere tutto e il contrario di tutto; e oggi si comincia con le coppe, giusto per dare un’altra ventata d’imprevidibilità. Visto che di sorprese finora non ne abbiamo avute abbastanza…
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