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Dopo un risultato incontrovertibile, definitivo, netto come la sconfitta nella Supercoppa Italiana di Riad, è forse giunto il momento di non nascondere più dietro un dito quello che probabilmente in molti hanno già pensato, pur senza dirlo apertamente: la Juventus di Maurizio Sarri è una squadra che, pur con lo status di cantiere aperto, non sta rendendo come previsto, e, soprattutto, non sembra all’altezza di quella – più operaia e pragmatica – costruita da Massimiliano Allegri nei suoi cinque anni di gestione.
INVOLUZIONE – In dodici mesi può cambiare tutto. In meglio come in peggio, ovviamente. E la Juventus, fin qui, è vittima di un’involuzione di cui si parla troppo poco. La squadra, passata a luglio dalle mani di Allegri a quelle di Sarri, doveva acquistare maggior credibilità in Europa e continuare a dominare in Italia, ma dopo i primi sei mesi lo switch tra tecnici toscani non sembra aver pagato più di tanto. A parlare sono i freddi numeri, che raramente dicono il falso: un anno fa, dopo le prime diciassette giornate, la Juventus si trovava saldamente in testa al campionato a quota 49 punti frutto di appena un pareggio e sedici vittorie e a +8 in classifica rispetto alla seconda, vale a dire il Napoli. E soprattutto, poco meno di un anno fa la squadra guidata dall’esperienza e dall’equilibrio di Massimiliano Allegri alzava al cielo la Supercoppa Italiana contro il Milan con Ronaldo protagonista.
NATALE AMARO – Il Natale successivo la Juventus lo trascorre nel peggiore dei modi. 42 punti in campionato, sette in meno rispetto alla scorsa stagione, e il primo posto che resiste ancora, ma a pari merito con l’Inter e – cosa che spaventa – con tre punti potenziali di vantaggio sul terzo posto occupato da una Lazio capace nel giro di due settimane di battere per due volte la squadra di Sarri, che dimostra ancora una volta di non avere quella prontezza necessaria per capire dove si è sbagliato e correggere i propri errori, sia nell’ampio respiro di un’intera stagione che all’interno di una singola partita. La Supercoppa persa è solo la punta dell’iceberg e il confronto con lo scorso anno, rovinato da appena quarantacinque minuti contro l’Ajax, non regge, anche in virtù di una rosa nel frattempo nettamente migliorata.
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PASSI INDIETRO OVUNQUE – Nemmeno dal punto di vista del gioco, il cavallo di battaglia di Sarri, sembrano esserci miglioramenti tali da poter far trascurare tutto il resto che non va: la fase offensiva è più curata e si cercano combinazioni raffinate nello stretto, ma soltanto in alcune occasioni queste si sono dimostrate vincenti, denunciando piuttosto una certa piattezza e prevedibilità quando l’avversario ha un certo spessore (i numeri vengono ancora in soccorso, 34 gol segnati lo scorso anno, 31 quest’anno). E dal punto di vista difensivo, vero punto di forza della produttiva gestione Allegri, i problemi sono evidenti: 17 gol subiti contro gli 8 della scorsa stagione dopo diciassette giornate, la continua sensazione che a ogni sortita l’avversaria di turno, che sia la Lazio o il Genoa, possa rendersi pericolosa. E’ vero, l’assenza di Chiellini si fa sentire e De Ligt non sembra ancora del tutto pronto, ma la sensazione è quella di una certa superficialità quando la palla è tra i piedi dell’avversario.
AGLI ANTIPODI – L’Allegri-pensiero era ben chiaro: l’obiettivo dell’allenatore è quello di fornire nozioni tattiche dal punto di vista della fase difensiva, e lasciare liberi i giocatori quando si tratta di attaccare, dando sfogo alle abilità dei singoli. Con Sarri tutto sembra essersi rovesciato: schemi offensivi complicati che finiscono per mettere in gabbia i giocatori di maggior talento (vedi Ronaldo), fase difensiva molto più libertina e di conseguenza deficitaria. La domanda, allora, è d’obbligo: Sarri, non era meglio la Juventus di Allegri? I numeri lo testimoniano, almeno parzialmente, ma non sono tutto nel calcio: a fine stagione, però, sarà il momento per tirare definitivamente le somme.
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