Paulo Fonseca sa cambiare in caso di necessità. Non è poco in un calcio scandito dai ritmi altissimi di un calendario congestionato. L’ex allenatore della Roma (in giallorosso dal 2019 al 2021) – ora accostato con insistenza alla panchina del Milan – nella sua prima esperienza in Serie A ha dimostrato di essere un tecnico preparato tatticamente, in grado di trasformare la squadra a seconda delle esigenze del momento e in base alle caratteristiche degli avversari. Tutt’altro che un integralista. Anzi. Nella Capitale è partito con un 4-2-3-1 e ha chiuso con il 3-4-2-1. Il primo modulo ha richiesto qualche settimana per stabilizzarsi. Eppure, con quel sistema di gioco il portoghese ha offerto la versione più bella e spumeggiante della sua Roma, con qualche intuizione d’emergenza tutt’altro che banale come Gianluca Mancini a centrocampo (da mediano il difensore giallorosso fu protagonista di una prova da incorniciare contro il Napoli). È quello fino ad oggi il periodo più fortunato di Fonseca in Italia. Ad ottobre 2019 supera il Milan per 2-1 e dà vita ad una striscia di risultati che si ferma solo a gennaio. Il 30 ottobre la Roma in 10 uomini strapazza l’Udinese, mentre qualche settimana dopo vince a Firenze per 4-1. Nel complesso, 22 punti in 9 partite.
Poi l’infortunio – il primo gravissimo – di Nicolò Zaniolo coincide con la crisi di risultati, che porta il tecnico a schierare la difesa a 3 (modulo che ha poi accompagnato le successive quattro stagioni giallorosse). Risultato finale: quinto posto, il miglior piazzamento in Italia. Nella seconda avventura la Roma riparte dalla difesa a tre e con una nuova proprietà, i Friedkin. Fino a marzo Fonseca vince quindici partite non di cartello su diciassette, ma perde quasi tutti i big match. E lo fa in malo modo: 3-0 contro la Lazio di Inzaghi, 4-1 contro l’Atalanta, 4-0 contro il Napoli, 3-1 contro l’Inter, 2-0 contro la Juventus. Arriva fino alla semifinale di Europa League (eliminando l’Ajax di Ten Hag, semifinalista di Champions l’anno prima), ma ad Old Trafford una Roma in emergenza (tre infortuni e cambi finiti al 37′ con Diawara in campo zoppicando nella ripresa) viene travolta 6-2 dal Manchester United. Nel mezzo anche il pasticcio in Coppa Italia con l’errore sui cambi che costa l’eliminazione a tavolino contro lo Spezia (che stava comunque vincendo sul campo). Risultato finale: settimo posto, a pari punti con il Sassuolo. La qualificazione in Conference League, poi vinta, è l’ultimo regalo a Mourinho. Merito anche della vittoria nel derby contro una Lazio affaticata alla penultima giornata con i gol di Mkhitaryan e Pedro: quello è il suo unico successo contro Simone Inzaghi, a fronte di due pareggi e una sconfitta. Un nuovo derby con il piacentino potrebbe essere dietro l’angolo.