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Un copione che sembra tanto un remake, con qualche tocco di stile unico di uno sceneggiatore che non sarà mai banale. L’avventura di Josè Mourinho alla Roma, terminata con l’esonero questa mattina, rischia di essere tanto simile a quella di Helenio Herrera in giallorosso. Entrambi vincenti (e Special) all’Inter. Entrambi accolti in pompa magna dalla passione sconfinata della piazza giallorossa. Entrambi capaci di vincere un trofeo al primo anno che sembrava il preludio per nuove feste. Poi l’esonero alla terza stagione, quando il rendimento sul campo non rispecchiava più le aspettative della piazza. Herrera in realtà tornò sulla panchina anche dopo il turbolento licenziamento e ci rimase altri due anni. Difficile immaginare lo stesso per Mourinho, che deve fare i conti con il terzo allontanamento dalla panchina della sua carriera. Fino al 2018 non gli era mai capitato, poi il calo, normale, per chi si è imposto come una leggenda nei precedenti quindici anni. Anche Herrera nel 1968 fu accolto da un entusiasmo con pochi precedenti. La feroce campagna abbonamenti invase la Capitale di manifesti con la sua foto e la scritta ‘Datemi la vostra fiducia, arriverò in vetta’.
In realtà HH fece peggio. Ottavo posto in campionato. Poi il decimo. E infine l’esonero. La Coppa Italia al primo anno impreziosì la bacheca. Come la Conference nel 2021. Ma, somiglianze a parte, Josè Mourinho ha fatto nettamente di più del suo illustre predecessore. Sotto la sufficienza in campionato, certo. Ma ha trionfato in Europa a Tirana, rompendo un digiuno di trofei che durava dal 2008. Quattordici anni senza titoli interrotti dallo Special One, che l’anno dopo avrebbe potuto sollevare persino la ventisettesima coppa della sua gloriosa carriera. A Budapest la Roma si è fermata ai calci di rigore contro il Siviglia tra le polemiche per la direzione arbitrale di Taylor. Alla Puskas Arena, dopo aver eliminato Real Sociedad, Bayer Leverkusen e Feyenoord (tutte e tre in Champions l’anno dopo), si è spezzato qualcosa. Ma non l’amore tra la piazza e l’allenatore. Da quando c’è Mourinho l’Olimpico è sempre stato sold out. Un po’ per la sua presenza, un po’ anche per l’entusiasmo post-pandemia che di fatto ha trascinato i dati sulle presenze negli stadi in tutte le serie italiane (proprio ieri la Lega Pro ha fatto registrare il +40% rispetto all’anno precedente). Nel post Mou si vedrà qual è stato il fattore predominante per riportare il pubblico romanista a riempire, in ogni gara, lo stadio. Lo Special One ha contribuito persino a cambiarne i connotati. Sua l’intuizione dell’inno di Venditti a ridosso del fischio d’inizio. Sua del resto la capacità di far gruppo tra spogliatoio e tifosi, che non hanno praticamente mai fischiato la squadra all’intervallo nei momenti difficili.
“Ho vinto tanto, da tante parti, ma nessuno di questi club ha questo livello di rispetto e tenerezza”, ha detto recentemente. In realtà, di precedenti così si faticano a trovare anche all’interno della stessa storia della Roma. Un rapporto che resta unico, anche dopo l’esonero. Tra Mou e i tifosi probabilmente nulla cambierà. La società ha cambiato e ha preso forse la prima mossa impopolare dell’era Friedkin. La Roma ha continuato a faticare sul piano del gioco e la sconfitta nel derby, per come è maturata, ha convinto la proprietà a cambiare. Per i proprietari texani il diktat è chiaro: con Dybala e Lukaku la Roma è da Champions League e il -5 dalla Fiorentina (con quattro squadre davanti) è inaccettabile. Adesso i ragionamenti sul sostituto. E l’attesa per i saluti. Herrera dopo l’esonero pubblicò un’inserzione ironica sul Messaggero: “Cercasi presidente serio”. Per il finale del film, quando lo sceneggiatore è Special, occhio ai colpi di scena.
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