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Marcello Lippi dice la sua sull’emergenza coronavirus legata al mondo del calcio e si allinea al pensiero di chi sostiene si debba ripartire soltanto quando la pandemia sarà stata sconfitta, concludendo questo campionato con tutte e dodici le giornate di Serie A ancora da disputare e solo allora far partire la stagione successiva: “Quando ripartirei? Soltanto quando saremo a contagi zero. Non importa se a porte aperte o chiuse: non è questo il problema. Il problema è che impossibile non succeda qualcosa se una squadra, una cinquantina di persone in tutto, viaggia e incontra camerieri, cuochi, autisti… Solo quando questa guerra sarà vinta dovremo ripartire. E dalla ventiseiesima giornata. Niente playoff o altre formule, per carità . Dodici giornate. Non è giusto che chi ha fatto sei mesi eccezionali debba giocarsi tutto in due partite, e lo stesso per chi sta lottando per la retrocessione. Campionato e coppe: non si comincia la nuova stagione prima di aver finito questa. La prossima partirà più tardi, avrà qualche turno infrasettimanale. Non importa. E non è soltanto questione di campo… Basta immaginare cosa accadrebbe con un’assegnazione straordinaria: tra reclami, ricorsi, avvocati, tribunali non ne usciremmo più”.
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Il tecnico 71enne di Viareggio, campione del mondo alla guida dell’Italia nel 2006, sottolinea anche come sia necessario pensare al calcio dilettantistico che rischia fallimenti a catena: “Spero che, chi decide, stia pensando al calcio dilettantistico che rischia di scomparire. Spero lo protegga. Quello d’elite ne uscirà sicuramente ridimensionato, ma tutto sommato non sarebbe neanche un male. Ridimensionati anche i giocatori? Sì. E accetteranno. Si è portati a credere che siano tutti viziati e ricchi, che pensino solo a soldi, macchine, belle donne. Demagogia. Ci sono quelli così come in tutte le categorie. Ma poche hanno la stessa sensibilità sociale dei calciatori”.
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