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Per milioni di italiani ogni domenica non è più domenica. Il coronavirus ha influenzato le vite di tutti a partire da quel maledetto marzo 2020 e di conseguenza anche il tifoso si è visto privare del piacere di andare allo stadio. Per la verità, la prima rinuncia è stata quella di poter seguire le partite tout-court, visto che per tre mesi abbondanti non si è più giocato. Poi, porte vuote fino a fine stagione, quindi la piccola deroga d’autunno con i famosi 1000 di reminiscenza garibaldina, prima della nuova decisione del Governo di richiudere ogni impianto e di tornare alla tristezza degli spalti vuoti. Gli abbonamenti alle pay tv non sono aumentati – anzi, tutt’altro – e così facendo due più due è facile pensare che questa pandemia abbia fatto un po’ disamorare il pubblico del pallone.
Tra i molteplici cambiamenti di questo calcio 2.0, c’è dunque il fattore ambientale. San Siro pieno con i suoi 80.000 al loro posto fa sicuramente più paura di uno stadio vuoto, ma questo non vale soltanto per la squadra ospite di turno (quanti punti persi dall’Inter al Meazza nel finire della scorsa stagione, per esempio), ma anche per quei calciatori di talento ma non ancora di spiccata personalità, che possono così crescere senza troppa pressione. A ogni modo, la sensazione è che da metà giugno, momento in cui il calcio italiano ha riaperto i battenti recuperando ogni tre giorni dodici partite, per poi fare una pausa brevissima e rituffarsi nel nuovo campionato, tutte le squadre, anche chi lotta per la salvezza, abbiano cominciato a giocarsi le proprie carte in trasferta con più coraggio, forti dell’assenza del pubblico di casa che ha reso spesso le partite – dal punto di vista della pressione, beninteso – ben più vicine all’allenamento del giovedì che al match del weekend. Le sensazioni, si sa, restano tali finché non vengono suffragate dai numeri, dalla ricerca empirica. E così, è bastata dare una rapida occhiata alle statistiche per accorgersi di come questo 2020 abbia contribuito a rovesciare una prospettiva, in maniera forse irreversibile: la squadra di casa è davvero ancora la favorita?
Casa o trasferta, da quel maledetto 9 marzo 2020, ha ben poco senso ormai. E’ vero, il viaggio per la squadra ospite può essere un fastidio in più, ma in assenza dei tifosi a caricare l’avversaria si tratta davvero dell’unica discriminante rimasta. Nel campionato 2018/2019 sono state registrate, a fronte delle canoniche 380 partite in Serie A, 166 vittorie delle squadre in casa (43,68), 108 pareggi (28,42%) e 106 vittorie delle squadre in trasferta (27,89%). Un dato comunque superiore, tornando per esempio a dieci anni prima, rispetto a quello del 2009-2010, quando furono rispettivamente 186-102-92. Passiamo ora al 2019/2020, con le prime venticinque giornate e mezzo che si sono giocate prima del lockdown e le successive dodici e mezzo nell’estate più strana di sempre. Il trend, è chiarissimo: 158 vittorie in casa (41,58%), 85 pareggi (22,37%) e 137 vittorie in trasferta (36,05%). 43 di queste ultime arrivate proprio nelle ultime dodici giornate, con la media di quasi 4 per ogni turno. E passiamo, finalmente, a questo primo scorcio di campionato: nelle quattordici giornate della Serie A 2020/2021 giocate prima dell’anno nuovo, sono 47 (34%) le vittorie in casa, 39 (28,2%) i pareggi e 52 (37,6%) le vittorie in trasferta a fronte di 138 partite (Udinese-Atalanta e Juventus-Napoli da recuperare). Mai come in questo caso, è bene dire che i numeri parlano da soli e che non c’è granché bisogno di commentare. Un ultimo dato, però, è degno di nota, vale a dire il calcolo che tiene conto delle partite giocate dal lockdown a oggi: sono esattamente 253 sfide e 102 vittorie di chi ha giocato in casa, 62 pareggi e 95 vittorie in trasferta. Insomma, nel 2020 si è invertita la tendenza e la sensazione è che il numero delle vittorie delle squadre in trasferta possa presto essere analogo a quello dei successi casalinghi.
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