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E’ finita. Andrea Agnelli saluta con le dimissioni, chiudendo in modo amaro la sua avventura da presidente della Juventus. In attesa che tutti i nodi vengano al pettine e che le reali motivazioni alla base dell’azzeramento dei vertici bianconeri siano chiarite in modo inequivocabile, resta una sensazione di smarrimento nel tifoso, soprattutto nei più giovani, ma anche in chi ha sofferto nel post Calciopoli per poi tornare a nuovi fasti.
Andrea Agnelli lascia dopo dodici anni intensi, in cui non è stato amato come avrebbe voluto, in cui non è riuscito a centrare il grande sogno della Champions. Ed è stata forse questa folle ambizione a mettere fine in modo inaspettato alla sua presidenza. Nel mezzo, però, ci sono nove scudetti, la scelta vincente di richiamare Conte e di rifondare un verro Dna Juve dopo i settimi posti di assestamento, aver riportato il club nel ruolo di egemone in Italia ed essere tornata presenza fissa nella coppa più prestigiosa. L’intuizione di fidarsi di Allegri nel primo quinquennio, con due finali perse che rimangono il più grande rimpianto, e altri cinque scudetti di fila. Tutti i record battuti da una Juventus che anno dopo anno si andava ad associare non solo al nome di Agnelli, come in oltre cent’anni di storia, ma anche a quello di Andrea.
Poi la scelta di virare su Sarri, di cercare un calcio diverso, pressato dall’opinione pubblica e dalla sua ambizione. Non si può certo dire che non sia stato un presidente coraggioso e volitivo, forse troppo quando un anno prima aveva spinto per Ronaldo. CR7 come asso nella manica, è diventato invece l’inizio della fine. Ci si è messo di mezzo anche il Covid, e i conti sono diventati sempre più in rosso. Un problema non da poco, anche perché nel frattempo tra Pirlo e l’Allegri bis anche sul campo la squadra ha perso posizioni nei confronti delle milanesi che avanzano. Troppi gli errori a livello sportivo negli ultimi ventiquattro mesi, alla giustizia toccherà capire se sono state compiute leggerezze o illeciti anche sui bilanci.
La lita interna sempre viva tra John Elkann e Andrea Agnelli sfocia dunque nell’addio del numero uno bianconero. Lascia da vincente, ma lascia anche in eredità una situazione non florida. L’all-in non è riuscito, i tifosi gli avevano in parte voltato le spalle. Adesso repulisti generale e si riparte, ancora una volta, come dopo quel nefasto 2006 o in quel 2010 che, nessuno ancora poteva saperlo, fu l’anno della svolta in positivo. Se la Juventus è tornata grande, gran parte del merito è proprio di Agnelli: nessuno come lui a livello di risultati in patria, record su record che queste dimissioni e questo declino, del quale egli stesso è responsabile, non cancellano.
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