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Simone Inzaghi, dodici anni dopo, riporta l’Inter tra le prime otto d’Europa. Centrando un risultato importante, sia al livello sportivo ma anche e soprattutto per quello economico. I nerazzurri, prima dell’arrivo in panchina del tecnico piacentino, non giocavano partite ad eliminazione diretta dal 2011/2012 (sconfitta con il Marsiglia agli ottavi di finale). Non c’era riuscito Luciano Spalletti (una volta) e non c’era riuscito neanche Antonio Conte (eliminato per ben due volte ai gironi). Inzaghi invece già l’anno scorso aveva riportato l’Inter agli ottavi e quest’anno si è superato passando un girone quasi proibitivo con Bayern Monaco e Barcellona e poi eliminando l’ammazza italiane Porto. Ma negli ultimi mesi è stato un tiro a bersaglio: Inzaghi l’unico parafulmine. E ieri, per la prima volta, anche l’ex allenatore della Lazio ha alzato i toni e ha cominciato a sbattere i pugni sul tavolo.
“Non ho nessuna rivincita da prendermi. Non è questo il momento di parlare. So il percorso che ho fatto qui nell’Inter con il mio staff e grandi uomini come i giocatori che ho. Lo scudetto ha provocato qualche problemino a livello economico: negli ultimi 18 mesi l’Inter ha vinto trofei ed è entrata ai quarti di Champions. E’ facile parlare di Simone Inzaghi perché forse l’educazione e l’intelligenza vengono confuse nella vita. Al momento giusto parlerò: lo devo a me stesso e ai miei familiari”, ha detto ai microfoni al termine di Porto-Inter. Già perché in queste ultime settimane il tecnico piacentino è stato spesso sulla graticola, unico colpevole all’Inter secondo buona parte della stampa nostrana.
Eppure Inzaghi l’anno scorso è arrivato in un momento drammatico per le casse del club nerazzurro: venduti Hakimi e Lukaku e sostituiti con Dumfries, Dzeko e Correa. Perso anche Eriksen per quel terribile pomeriggio di giugno, la sua Inter, a detta di tutti, doveva cercare di entrare nelle prime quattro. Ma il gioco propositivo, a tratti anche entusiasmante, ha stravolto le carte in tavola. E ha fatto sembrare un campionato da 84 punti (7 in meno di Conte senza Hakimi, Lukaku ed Eriksen), un fallimento. Sicuramente lo Scudetto perso ai danni del Milan è una ferita che brucia ancora oggi e che conta nel sentore popolare dei tifosi nerazzurri e non solo. Nel frattempo però l’Inter è rientrata nell’Europa che conta vincendo anche tre trofei. Portaombrelli per qualcuno (due Supercoppe e una Coppa Italia), ma sempre trofei rimangono soprattutto per una società che nei dieci anni precedenti ne aveva vinti solamente due (lo scudetto con Conte e una Coppa Italia con Leonardo).
Otto sconfitte in ventisei partite, in questo campionato, sono troppe. E questo lo sa anche Simone Inzaghi. Sarebbe bastato avere quei 4-5 punti in più (lo scorso anno dopo 26 giornate l’Inter aveva 54 punti, quest’anno 50) per avere il secondo posto quasi assicurato. D’altronde chi pensa che l’Inter avrebbe potuto lottare con questo Napoli probabilmente vive fuori dalla realtà. Il Napoli ha 68 punti, l’Inter di Conte con Hakimi, Eriksen e Perisic in più e senza il problema Skriniar e con un Brozovic sano, ne aveva collezionati 62. Questo anche per dare un tono all’impresa che stanno facendo i ragazzi di Spalletti. Però sicuramente Lautaro e compagni dovevano avere qualche punto in più e aver fatto qualche sconfitta in meno. Su questo non ci piove. Ma da qui al crocifiggere un allenatore che è ancora in corsa per tutti gli altri obiettivi sembra stridere.
Come stride il fatto che dopo le sconfitte Inzaghi sia sempre il solo a presentarsi ai microfoni, a Bologna ci fu Lautaro Martinez che parlò da leader. Sia giocatori che dirigenti o addirittura il presidente, intervengono davanti alle telecamere quando tutto va bene. Come ieri sera. Inzaghi avrà i suoi difetti, avrà le sue colpe, ma ha anche tanti meriti. Perché l’Inter, due anni fa, ha vissuto un momento molto difficile. Tanto che Antonio Conte stesso decise di abbandonare la nave dopo aver vinto. Il resto è storia.
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