“L’Inter sarà l’ultima squadra della mia carriera”. Lo ha confermato più volte negli scorsi mesi, c’è una carriera in politica che lo attende. Ma per il momento, Giuseppe Marotta suona la nona sinfonia di una carriera irripetibile. Il maestro della diplomazia, temuto dai tifosi avversari per il suo fare serafico, per la capacità di vendere e comprare al prezzo migliore, per l’abilità nel dribblare domande scomode e situazioni spinose, e soprattutto per l’innata propensione alla vittoria.
Già, perché la seconda stella dell’Inter, il ventesimo scudetto, porta una firma importante del suo amministratore delegato, capace di consegnare a Inzaghi una squadra matura, dichiarando fin dall’estate di puntare con forza al tricolore, non sfuggendo dal ruolo di favorita, ma respingendo gli assalti – in primis della Juventus – di chi parlava dei nerazzurri condannati a vincere. Forse, in realtà, lo erano, ma con Marotta come faro è stato più facile per l’ambiente coltivare mese dopo mese la possibilità di tornare a festeggiare a fine anno. E con questo scudetto, anche all’Inter Marotta ha aperto un ciclo importante. In pochi anni, sono arrivate infatti anche le Coppa Italia, le Supercoppa Italiana, e persino una finale di Champions League. Non averla fin qui mai vinta potrebbe essere l’unico cruccio di Marotta, in virtù di tre finali se consideriamo anche l’esperienza da dg bianconero. E la quarta finale, di Europa League, la aveva raggiunta – perdendo anche quella – con Conte in panchina, il suo fil rouge per dar vita a cicli importanti: lo ha chiamato alla Juventus e ha vinto i primi tre scudetti dei sette da dirigente dei piemontesi, poi è passato all’Inter mentre la Vecchia Signora ha continuato a trionfare per altri due anni, nel frattempo sempre con Conte è arrivato il tricolore del 2021. E da lì, Marotta ha dovuto far fronte a una serie di impedimenti: l’addio dello stesso tecnico leccese, la sostituzione con Inzaghi, gli addii di Skriniar, Onana, Lukaku, i problemi economici di Suning e le problematiche legate al Covid. Ogni difficoltà superata con la lungimiranza: Pavard, Sommer, Thuram, i parametri zero.
Nel frattempo, però, i successi non sono mancati: trofei nazionali ai quali però mancava il piatto forte, quello scudetto che quest’anno era definitivamente maturo e che consente ancora una volta a Marotta di assurgere a deus ex machina in grado di trasformare qualsiasi progetto in quello vincente. Non senza polemiche: si è parlato di Marotta League, si è parlato di favori arbitrali, di potere a livello di politica del pallone. Quest’ultimo è un fatto acclarato, ma è frutto della sua abilità diplomatica e della capacità dirigenziale. Di certo c’è che non si vincono nove scudetti in meno di quindici anni con due diversi club come puro frutto del caso o di complotti. E soprattutto, riuscendo in egual modo a mettere d’accordo i tifosi delle due eterni rivali.