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“Ha arbitrato in una corrida. La sua esperienza l’ha aiutato, arbitrare in condizione del genere non è mai facile. In queste condizioni per gli arbitri è quasi impossibile arbitrare con serenità”. Gian Piero Gasperini al triplice fischio di Roma-Atalanta ci ha messo il carico da undici. Giocare allo stadio Olimpico è difficile, arbitrare è tutt’altro che semplice. La Roma di José Mourinho è una squadra che, giustamente, fa il suo gioco. Ma il problema più che in campo è in panchina dove ogni singola decisione viene contestata con gesti plateali, sia dall’allenatore che anche dal suo staff.
Le espulsioni ormai non si contano più: Mourinho ne ha prese sette solamente lui in questi due anni e mezzo, ma il suo vice Foti ha preso più giornate di squalifica di lui. A volte sono stati squalificati in contemporanea. E poi il solito teatrino a fine partita: Mourinho che non parla o che, quando lo fa, quasi mai indossa l’auricolare con lo studio. Una mancanza di rispetto verso i giornalisti e verso i tifosi del calcio. Quello vero.
Perché ieri ci sarebbe stato tanto da parlare. La Roma ha giocato una delle migliori partite di questa stagione, ha prodotto tanto e capitalizzato poco. E anche a Torino contro la Juventus aveva fatto una buona prestazione, con il Napoli aveva anche dominato la partita dal punto di vista sia tattico che emozionale. Huijsen ieri ha fatto un esordio con i fiocchi, Bove ha un cuore enorme, Lukaku invece non segna mai contro le big. Ci sarebbero stati tanti spunti da analizzare, da approfondire e da sviscerare. Invece no, sempre la solita musica: silenzio, proteste, polemiche, espulsioni. Una musica che ormai ha stancato e che non giova né alla Roma e né a Mourinho.
E la domanda delle domande, che avrà una risposta non tra troppo tempo, è: ma i Friedkin vorrebbero tutto questo per altri due anni? Oppure un cambio della guida tecnica può dare una ventata d’aria fresca, pulita, non contaminata? Mourinho è, o quantomeno lo è stato, uno dei migliori allenatori del Mondo, e proprio per questo è un peccato non poter parlare di calcio dopo una partita, dopo un pareggio, dopo una sconfitta.
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