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Per circa vent’anni Stoccarda è stata una piccola colonia calcistica italiana in Germania. Dei circa 25 calciatori italiani passati in Bundesliga, il capoluogo del Baden-Württemberg ne ha ospitati sei. L’ultimo fu Federico Barba, ora al Benevento. Ma anche Cristian Molinaro mentre Mauro Camoranesi la scelse per chiudere la carriera europea. Prima ancora invece toccò ad Angelo Vaccaro, attaccante classe 1981, il cui sogno è iniziato nel 2000 durante uno dei primi allenamenti con i ‘grandi’ dopo tante belle prestazioni e tanti gol con la seconda squadra del club. Per un 19enne è il momento che vale tutto: c’è l’emozione, la voglia di dimostrare il proprio valore senza però dimenticare le proprie origini. Lui, nato a Mössingen ma con origini siciliane, sfoggia degli scarpini con la bandiera italiana. A notarli anche il suo allenatore, Ralf Rangnick: “Sono più importanti i piedi o le scarpe?“, “I piedi, mister“. Oggi Angelo Vaccaro gli scarpini li ha appesi al chiodo e ha iniziato la carriera di procuratore. Mentre il suo vecchio tecnico, Ralf Rangnick è invece in procinto di compiere il percorso inverso. Dalla Germania dove ha vinto cinque trofei e imposto un suo stile di gestione del club, all’Italia dove ad attenderlo c’è Milano, sponda Milan.
Quindi con un siparietto da spogliatoio, il 19enne Angelo Vaccaro ha conosciuto Ralf Rangnick.
Sì. Anche se lui già mi conosceva e stravedeva per me. Ho fatto 7/8 gol con la seconda squadra dello Stoccarda in poche presenze. Dopo tre allenamenti con lui, mi ha convocato e fatto esordire in Bundesliga contro il Borussia Dortmund.
Praticamente l’inizio di un sogno. Poi cosa è successo?
Ho collezionato 3/4 presenze. Poi ho subito un piccolo infortunio che mi ha frenato e in ritiro mi sono fatto male di nuovo. Ma lo Stoccarda ha voluto comunque farmi rinnovare il contratto. E quando Rangnick è andato via, ha provato a portarmi con lui con l’Hannover prima e con l’Hoffenheim poi.
Ma l’affare non è andato a buon fine.
Lo Stoccarda rifiutò l’offerta. Ma con Ralf siamo rimasti sempre in ottimi rapporti e ci siamo sentiti recentemente.
Con lo Stoccarda riuscì a promuovere una politica legata ai giovani.
Lui ci sa fare con i calciatori giovani, è uno dei suoi punti di forza. Ricordo che ci chiamava nel suo ufficio, anche dopo l’allenamento, per darci lezioni individuali di tattica. Dedica un tempo inestimabile ai più giovani e infatti i senatori dello spogliatoio mi chiedevano stupefatti: “Con noi parla poco, ma perché ti chiama sempre?”.
Nel 2000 Rangnick aveva 43 anni. C’era la sensazione già allora di avere a che fare con un tecnico con una idea di calcio per certi versi rivoluzionaria?
Forse all’estero no perché non era ancora famoso. Ma in Germania era già celebre venti anni fa. Dopo aver allenato le giovanili dello Stoccarda, è stato l’artefice delle due promozioni dell’Ulma fino alla Bundesliga. Veniva invitato in televisione con tanto di lavagnetta per spiegare la sua tattica e la sua visione del calcio.
E qual è la sua visione del calcio?
Se tu guardi le sue squadre, te ne accorgi subito. Vanno a mille, non si fermano mai e c’è un pressing a tutto campo che è frutto di un lavoro fisico incredibile. Nello spogliatoio è molto silenzioso, non è il tipo a cui piace parlare davanti alle telecamere. E soprattutto è uno che non ama urlare. Se c’è la necessità, si fa sentire ma sempre con rispetto. Ma in ogni caso è molto diretto e non lascia niente al caso.
Ti sorprenderebbe un suo arrivo in Serie A?
Un po’ sì. Lui ha sempre amato il calcio italiano ma era solito dire che il suo obiettivo sarebbe stato quello di allenare in Premier League. Ma comunque avrà bisogno di tempo e in Serie A i tifosi sono esigenti e hanno poca pazienza. Ma lui è un grande tecnico e in ogni caso, a quanto ne so, sta già studiando l’italiano.
Nel Milan si parla di un ruolo da plenipotenziario.
Quindi niente di strano. Lui ha sempre fatto così. Ovunque è andato, si è portato dietro il suo staff di fiducia. Non è una novità.
Secondo te con Maldini può convivere?
Assolutamente sì. Maldini è il Milan e possono lavorare insieme. Stesso discorso vale per Ibrahimovic, è ancora un grande giocatore e lo ha dimostrato con gli ultimi gol. Basta sedersi allo stesso tavolo e mettersi d’accordo. Ma a me sembra che uno dei problemi dei club di oggi è che si parla poco.
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