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Da oggetto misterioso a protagonista silenzioso. Christian Eriksen è una delle chiavi della vittoria dell’Inter di uno scudetto meritato e pesante dopo anni di “zeru tituli”, se non altro perché esattamente da quando è titolare la squadra di Conte si è trovata in testa al campionato, mentre nel periodo della sua “reclusione” in panchina a oltranza, non senza polemiche e con ingressi all’85’ che sembravano quasi una punizione se non una presa in giro, i nerazzurri si trovavano costretti a inseguire. Ovviamente, i due eventi non sono direttamente correlati, ma in qualche modo il doppio playmaker e soprattutto un terzetto fisso e affiatato a centrocampo (con buona pace di un Vidal ai minimi storici) hanno portato solidità , esperienza e compattezza. Oltre, ovviamente, a quella componente che nel calcio aiuta sempre a vincere, vale a dire la qualità .
Di qualità , il danese, ne ha tanta. Pecca un po’ in grinta, in personalità , in leadership, ma anche da mezzala è stato capace di accettare in silenzio le esclusioni ripetute e di sbocciare a sorpresa in Coppa Italia, con il gol decisivo nel derby contro il Milan. Da lì in avanti, in campionato si sono spalancate le porte per un ruolo da titolare e lui, pur senza picchi clamorosi, si è calato perfettamente nel compito richiesto: passaggi puliti, giocate intelligenti, gestione del vantaggio. Ed è così che anche Eriksen, contro ogni pronostico, si è rivelata una delle mosse vincenti di Conte. Magari, schierandolo più spesso anche nella prima parte, non si sarebbe parlato di “rimonta scudetto” ma di dominio per un’intera stagione. Ma non si può avere tutto.
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