Il Napoli cerca un po’ di quiete dopo la tempesta, così come in generale il calcio italiano, che riparte dopo il caso scommesse con la Serie A che apre nuovamente i battenti, e lo fa dal Bentegodi. A Verona, squadra che alla fine ha i punti che ci si può aspettare, ma che non vince dalla seconda giornata, Rudi Garcia deve innanzitutto salvare la panchina, dopo che nel post Fiorentina De Laurentiis, al di là delle smentite di rito, aveva provato a dargli il benservito ma ha ricevuto il due di picche di Conte, decidendo allora che sì, forse era meglio dare ancora delle chance al francese, anche perché le sconfitte interne, con Lazio, Fiorentina e in Champions col Real Madrid, ci possono stare, e sono indigeste principalmente soltanto perché ci si raffronta con lo scorso anno, in cui la squadra di Spalletti poi scudettata aveva perso la prima partita in campionato a gennaio, mica a settembre, a marzo la seconda. E tra tutte le competizioni, erano state tre nello stesso lasso temporale se si conta anche quella in Champions, ininfluente, col Liverpool.
Garcia, invece, è partito male, inutile negarlo, ma ha dovuto anche fare i conti con alcuni imprevisti, come Kvara non al meglio, un gruppo forse un po’ sazio, e ora il lungo stop di Osimhen che per fortuna potrà essere rimpiazzato da Raspadori o Simeone, due pedine utili e riserve di lusso, e dunque pochi o nessun alibi. E così, tanto del suo destino, ma anche di quello del Napoli inchiodato a 14 punti in 8 partite e già costretto a inseguire persino in chiave quarto posto: vietato sbagliare, serve un segnale come era capitato tra Udinese e Lecce col doppio poker, e contro un’avversaria di quel livello, ma affamata di punti salvezza, ci si aspetta una prova matura, da big, da campione in carica, e non la confusione – e qui il tecnico azzurro ci mette del suo, con cambi cervellotici – vista contro la Fiorentina e non solo. Senza i tre punti in un pomeriggio autunnale, e con la Champions alle porte, la stagione può precipitare.