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Nel calcio i giovani faticano così tanto a imporsi “per il poco coraggio di qualche mio ex collega e i troppi stranieri presenti“. Questo il parere di Fabio Capello, che in un’intervista a Il Corriere dello Sport ha commentato la situazione del calcio italiano. “Sul primo piano dico che nei vivai ci sono bravi giocatori che potrebbero essere inseriti in prima squadra e lanciati al momento giusto, ma non viene fatto forse per l’ossessione del risultato da raggiungere” ha detto don Fabio, uno dei tecnici più vincente del nostro Paese e oggi apprezzato opinionista tv, “non c’è pazienza e, in qualche caso, gli allenatori il talento non lo capiscono nemmeno”.
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“Sul secondo aspetto forse si cercano gli stranieri sperando che diventino fenomeni, ma non mi sembrano tanto più bravi dei nostri” ha aggiunto Capello, ricordando che il Milan “aveva mandato Albertini in prestito al Padova, ma quando mi hanno chiamato ad allenare sono andato a vederlo e me lo sono ripreso subito. Alla Roma feci esordire De Rossi, poi l’anno dopo Aquilani. Capii subito che il primo era più pronto e poteva fare il titolare. Oggi la nazionale di Mancini e l’Under 21 dimostrano che c’è un futuro per il nostro calcio“.
“Aggiungo che i genitori pensano di avere in casa dei fenomeni e si lamentano con l’allenatore se il figlio non gioca. Ai miei tempi non era così” ha proseguito Capello, “non basta il talento per arrivare in alto, bisogna fare dei sacrifici per tutta la vita“. Don Fabio non ha fatto eccezioni nemmeno col figlio Pierfilippo, a cui disse di “lasciar perdere con questo calcio, non fa per te. Gli ho detto che sarebbe stato meglio studiare”. “Bisogna sempre avere il coraggio di capire dove puoi arrivare” ha aggiunto in conclusione Capello, “i figli d’arte giocano se sono bravi. Oggi in Serie A ce ne sono sempre di più, ma devono superare ostacoli maggiori perché portano sulle spalle uno zaino pesante e sono circondati dall’invidia. Non dimenticativi che il calcio è meritocratico“.
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