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Dagli atti della Corte d’Appello di Milano emergono altri dettagli inquietanti sulla vicenda che riguarda Rosario D’Onofrio, ormai ex procuratore capo dell’Aia, associazione italiana arbitri, già arrestato nel maggio del 2020 e finito di nuovo in carcere giovedì scorso per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga internazionale. Nel dettaglio, dalle carte viene fuori una vicenda che riguarda il 2021, quando in seguito al primo arresto D’Onofrio si trovava ai domiciliari, ma continuava a svolgere l’incarico all’interno dell’Aia.
Saltata una riunione perché recluso, e proprio per evitare di vedersi revocare la carica di procuratore arbitrale in caso di ulteriori assenze, per quattro riunioni, tra il 24 giugno e il 22 luglio, D’Onofrio chiese e ottenne il permesso di “assentarsi dal luogo di detenzione domiciliare” e raggiungere l’Aia. Il 21 giugno di quell’anno, infatti, la quinta sezione penale della Corte d’Appello diede l’ok a D’Onofrio, condannato a due anni e otto mesi per aver trasportato un carico di 44 kg di stupefacenti, a partecipare alle quattro riunioni a Roma per il tempo strettamente necessario.
Dopo la prima riunione alla quale fu negato il consenso alla partecipazione da parte dei giudici, gli avvocati difensori riuscirono a far leva sul fatto che se non fosse più stato autorizzato avrebbe dovuto rassegnare le proprie dimissioni in ossequio al regolamento Aia. La Corte a quel punto cambio idea e fece partecipare D’Onofrio alle successive quattro riunioni dell’Aia.
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