Il 4 marzo, per chi vive il calcio italiano con passione e sentimenti, non sarà mai un giorno come un altro. Che si sia affrontata da “dentro” o da “fuori”, quella maledetta domenica di due anni fa ci sta ancora addosso, come se tutto questo tempo non fosse mai passato.
Passato. Al passato siamo costretti a parlare, da quella data, di Davide Astori. Un “ragazzo perbene” lo definirono in coro colleghi, allenatori e addetti ai lavori, un volto pulito in un mondo, quello del calcio, troppe volte colpevole ai nostri occhi.
Il 4 marzo 2018 Astori, capitano della Fiorentina, se n’è andato, per colpa del suo cuore che ha smesso di battere la notte prima della partita contro l’Udinese. Il 4 marzo 2020 il calcio è fermo come allora, stavolta per un virus che sta tentando di sconvolgere il mondo, e che parte del mondo l’ha già bloccata.
Ecco, se questo è il fattore comune tra quella domenica e questo martedì, bisogna fermarsi un attimo e rendersi conto che tutto il resto, tutto il “bene” che la scomparsa di Astori sembrava aver portato nell’ambiente, si è dissolto nell’etere in men che non si dica.
#DA13 💜 PER SEMPRE pic.twitter.com/dkvZafn2n5
— ACF Fiorentina (@acffiorentina) March 4, 2020
In quel periodo le società, i tifosi, un po’ tutto il calcio italiano, si sentivano “uniti”, come se l’addio di Davide avesse reso evidente l’inadeguatezza dei comportamenti oramai usuali nel mondo del pallone. Abbiamo assistito, allora, ad una sorta di collaborazione rara, in cui per esempio si era tutti contenti di perdere un minuto di gioco, il numero 13, per rendere omaggio ad un grande professionista che se n’era andato.
Cordoglio, condivisione, talvolta unione: la scomparsa di Astori ha regalato settimane di “uguaglianza” alle quali non eravamo e non siamo abituati, mostrando il bello dello sport dentro e fuori dal campo. Sembra ieri. Ma oggi siamo di nuovo nel caos.
Oggi c’è un pericolo che incombe sulla salute delle persone, e chi dovrebbe prendere decisioni per risolvere (o almeno provare a risolvere) la situazione non riesce a far altro che anteporre i propri interessi personali al “bene comune”. Tra insulti, litigi e smentite si è arrivati, dopo giorni e giorni di riunioni e assemblee, solamente ad evidenziare lo stato attuale del calcio: in ginocchio, senza alcuna garanzia di ripresa.
Nel calcio di oggi la vendita di un biglietto in più viene prima dello stato di salute di un tifoso. Nel calcio di oggi si fa tremendamente fatica a trovare un compromesso. Nel calcio di oggi le persone perbene vengono sovrastate da chi alza la voce. Il calcio di oggi non è quello di Davide. Eppure, sembra ieri.