Nel 1990 arrivò secondo al Pallone d’oro, alle spalle solamente di Lothar Matthaus, che lo superò per poco più di 50 punti. Nella carriera di Salvatore Schillaci – scomparso oggi all’età di 63 anni (ne avrebbe compiuti 64 il 1° dicembre) – quello è stato il punto più alto, frutto di un Mondiale che lo ha visto esaltarsi in veste di sorpresa del torneo. Esordì in azzurro il 31 marzo di quell’anno, poche settimane prima della magia di Italia 90. Poi l’exploit e un nome che ancora oggi ad ogni latitudine fa venire in mente le Notti Magiche: nella competizione che ha visto gli azzurri chiudere al terzo posto, Schillaci si aggiudicò i titoli di capocannoniere (6 gol) e di migliore giocatore della competizione. Solo un anno prima aveva chiuso il campionato di Serie B con 23 gol, guadagnandosi la chiamata della Juventus che lo prelevò per 6 miliardi di lire. Nella sua prima annata in bianconero Totò-gol realizzò 15 reti in 30 partite di campionato, offrendo il suo contributo sotto porta (sei le reti nelle coppe) anche per la vittoria di Coppa Italia e Coppa UEFA. Nella stagione 1992-1993 passò per 8,5 miliardi di lire all’Inter e in maglia nerazzurra realizzò 12 gol in 36 apparizioni in tutte le competizioni. A fine carriera invece optò per il ricco ingaggio offerto dal Júbilo Iwata in Giappone, dove mise a referto 56 gol in 78 partite. Nel calcio giocato ha segnato in totale 190 gol e dopo il ritiro a Palermo ha fondato un centro sportivo per ragazzi, il «Louis Ribolla», che ha avvicinato molti bambini alla pratica sportiva. Nella sua scuola calcio ha mosso i primi passi anche Francesco Di Mariano, suo nipote, oggi attaccante del Palermo. “Mi rimane un solo rimpianto – ammise Schillaci in un’intervista al Corriere della Sera -, non aver mai vestito la maglia del Palermo. Lo avrei fatto anche gratis”. Oggi la sua città piange uno degli sportivi più amati dagli italiani e non solo. Un campione di umiltà, che si descriveva “timido, riservato”, capace di “accettare qualsiasi rimprovero senza rispondere”, e che nell’ottobre del 1989 esprimeva dubbi sulla possibilità di venire convocato in azzurro: “Da tre anni la nazionale sta collaudando i suoi schemi in vista dei Mondiali, penso che per me ormai sia troppo tardi. E poi a Vicini gli attaccanti non mancano”, disse. Nove mesi dopo sarà l’eroe azzurro di una magia indelebile nella memoria degli italiani.