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“Io a Francesco ho voluto veramente bene e lui mi ha regalato il sublime del calcio, perché il calcio ha un suo aspetto sublime che va apprezzato, cioè quello che va oltre il tuo pensiero. E lui lo superava sempre. Con Spalletti non è stato un litigio, ma una lenta e silenziosa diatriba. Spalletti non lo faceva giocare, ma non far giocare Totti a Roma è un sacrilegio perché lui è un’entità metafisica e ha dovuto quindi accettare insulti e minacce anche dirette alla famiglia. Era una cosa inquietante: avevamo un grande allenatore e un grande calciatore, ma insieme non riuscivano a fare il bene della squadra”. Lo ha dichiarato ai microfoni di Rai Radio2, Walter Sabatini, ospite a “Non è un paese per giovani” per parlare del suo libro, “Il mio calcio furioso e solitario”.
Sabatini ha poi raccontato i suoi inizi: “Ero un giocatore insopportabile. Giocavo con tutti campioni, soprattutto nella Roma, e credo non mi sopportassero perché giocavo un calcio infantile, da piazzetta. Ero un giocatore nullo dal punto di vista della concretezza”. E ancora sull’esperienza romanista: “Sono un inquieto, riconosco di aver avuto un solo momento, nella mia vita, in cui sono stato in armonia con l’universo: quando la Roma ha vinto le prime dieci partite consecutive e io sentivo la felicità della gente. Nel nostro lavoro l’unico obiettivo deve essere la felicità della gente. Se vedo un bambino disperato per ‘causa mia’, per una sconfitta, mi vorrei ammazzare”.
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