Calcio

Roberto Baggio, Occidentali’s karma: i 50 anni del Divin Codino

Roberto Baggio raccoglie la sciarpa viola durante Fiorentina-Juventus 1-0 (1991)

Nell’epoca di internet, ci hanno pensato Facebook e Twitter a ricordarci che il 18 febbraio Roberto Baggio, uno dei calciatori più forti di ogni tempo, compirà 50 anni. Noi, cresciuti negli anni Novanta e ipnotizzati da quel codino che oscillava tra il dolore e la noia, passando per il fugace attimo di piacere di una punizione all’incrocio dei pali, abbiamo consultato almanacchi e album di figurine prima di unirci al coro degli auguri in maniera discreta.

Come un qualsiasi abitante di Caldogno, al bar davanti a un bicchierino di liquore di prugna. In mezzo ai saggi del paesone da 11mila anime, che quasi sussurrano le loro congratulazioni all’enfant du pays. Per non disturbarlo, per non invadere il suo – mai tormentone sanremese arrivò in maniera più puntuale – Occidentali’s karma. Ovviamente, in senso letterale e non in quello figurato della canzone di Francesco Gabbani: il buddhista Baggio è stato da sempre un equilibratore d’anima.

Non fosse altro per le situazioni e per le emozioni che si è trovato a gestire nel corso della sua carriera. Lui, genio assoluto di un ruolo ormai scomparso (il fantasista puro, il numero 10, a dispetto di quel “9 e mezzo” messogli addosso come un’etichetta sprezzante da un invidioso Michel Platini), è stato senz’altro uno dei campioni dal rapporto talento espresso/successi ottenuti più basso della storia. Certo, c’è stato il Pallone d’oro, una Coppa UEFA e quei due scudetti consecutivi vinti con due squadre diverse (Juventus e Milan): ma i 22 anni di carriera di Roberto Baggio sono una sorta di “non finito” michelangiolesco. Splendido e terribile.

I suoi 318 gol, tra squadre di club e nazionale, saranno sempre subordinati ad altre immagini, impresse nella memoria collettiva del popolo italiano. Come l’erba calpestata il 7 aprile del 1991, mentre usciva dal campo con la maglia bianconera addosso, una sciarpa della Fiorentina raccolta da terra e in testa il gran rifiuto del rigore da calciare contro la sua ex squadra. O come il caldo torrido di Pasadena e quel raggio di sole che gli entrò nell’occhio, quando calciò alle stelle il sogno azzurro di una Coppa del Mondo che, fino a quel momento, era stata appesa alle sue giocate funamboliche. O, ancora, come la nebbia degli allenamenti da svincolato, prima della chiamata del Brescia di Carletto Mazzone, i pesi attaccati alla vita (intesa sia come parte del corpo, sia come susseguirsi di giorni) e la rabbia contro tutti.

Roberto Baggio, nome e cognome indissolubile pronunciato con l’accento cadente di Bruno Pizzul, ha avuto la capacità di mettere d’accordo le due grandi fazioni in cui si divide il tifo italiano, gli juventini e gli anti-juventini. I primi, sebbene non l’abbiano mai particolarmente amato, gli devono uno degli scudetti e la Coppa UEFA di cui sopra; gli altri gli riconoscono la sua professionalità e la bellezza della sua missione di predicare calcio in provincia: Baggio a Firenze, a Bologna e, soprattutto, a Brescia è una sorta di incarnazione della divinità, di una discesa sulla terra di qualcosa che non le apparteneva prima.

L’unica categoria che non l’ha mai mandato giù è stata quella degli allenatori. Da Giovanni Trapattoni a Marcello Lippi, da Arrigo Sacchi a Renzo Ulivieri. Contrasti, a volte anche plateali, silenzi, mancate risposte. Forse è anche per questo che Roberto Baggio, una volta appese le scarpe al chiodo e buttati alle spalle decine di infortuni più o meno gravi, ha deciso di sparire dai radar del calcio che conta e di evitare di sedersi su quelle panchine che, troppe volte, lo hanno ospitato. In maniera immeritata.

I 50 anni del Divin Codino rappresenteranno comunque un’occasione. Per chiedergli scusa per non aver saputo riconoscerne il ruolo di ambasciatore del calcio, per strappare un sorriso ricordando lo slalom speciale in maglia viola contro la difesa del Napoli di Diego Armando Maradona o lo scatto-controllo-dribbling al portiere in un Juventus-Brescia 1-1, per sottolinearne l’instancabile impegno nel sociale. Perché “da quando Baggio non gioca più” – smentiamo Cesare Cremonini e la sua Marmellata #25 – continua a essere domenica. Ma c’è meno fantasia nell’aria.

 

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