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In occasione dell’uscita dell’autobiografia di Pippo Inzaghi, dal titolo “Il momento giusto”, la Gazzetta dello Sport ha anticipato alcuni estratti. Tra i temi affrontati dall’ex attaccante, spicca l’ultimo gol a San Siro con il Milan: “Parto sulla linea del fuorigioco. Seedorf ha capito in anticipo, il suo lancio è perfetto, io stoppo di petto e mi defilo leggermente sulla destra. Ma non ho bisogno di guardare la porta, non mi è mai servito: io la “sento”. Fontana, portiere del Novara, mi esce incontro con prontezza e mi chiude lo specchio, almeno è ciò che crede. Io faccio una girata di destro e la palla finisce in rete. Impazzisco. Corro sotto la curva, il primo ad abbracciarmi è Nesta“.
Non è poi mancato un retroscena poco felice, in cui Inzaghi ha di fatto accusato Massimiliano Allegri di aver anticipato il suo ritiro: “Io e il Milan, nella primavera del 2012 avevamo trovato un accordo per prolungare di un anno il mio contratto. Io sarei stato un importante collante nello spogliatoio che nel giro di poco tempo aveva perso Maldini, Pirlo, Nesta, Gattuso, Seedorf. Elementi di spessore che avevano lasciato un vuoto profondo. Non avrei accampato alcuna pretesa… Galliani era felice di aver trovato insieme a me questa soluzione. Allegri invece la bocciò, non mi voleva più nello spogliatoio e lo disse al dirigente chiedendo che non mi fosse rinnovato il contratto. Per me fu una mazzata“.
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Infine, sulla sua vita dopo aver detto addio al calcio: “Mi alzavo al mattino e non sapevo come arrivare a sera. Andavo in palestra, ma senza entusiasmo, solo per far trascorrere il tempo, riempire la giornata ed evitare che la noia e lo sconforto prendessero il sopravvento. Il mio corpo mi mandava segnali inequivocabili di malessere. Mi sono spaventato. Anzi, lo dico chiaramente e senza vergogna: ho avuto paura. Ho fatto quattro gastroscopie e altre analisi poco piacevoli, viaggiavo sempre con un borsello pieno di cd con ecografie e risonanze che mostravo a vari specialisti. Ho temuto di avere qualcosa di grave, perfino la Sla. Sono stati mesi di disagio e sofferenza, in cui faticavo a trovare una via d’uscita. Qualcuno lo chiama male di vivere, qualcuno in un altro modo, io ho preferito dribblare definizioni e diagnosi e affrontare la realtà . Ho capito qual era il problema e l’ho superato poco alla volta, circondandomi dell’amore della famiglia. I miei genitori sono stati eccezionali: hanno compreso ciò di cui avevo bisogno“.
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