Si intitola “Sport, intrattenimento e digitalizzazione – L’enter(sport)ainment come nuovo modello di business” ed è il nuovo libro di Paolo Carito con Agostino Piacquadio che tratta il tema dell’impatto del digitale e della pandemia sull’industria dello sport, con un occhio ai cambiamenti delle logiche attraverso le quali le realtà sportive cercano di coinvolgere i tifosi e di intercettare nuovi pubblici. Spiegandoci anche il contributo di Fabio Capello, autore della prefazione, Paolo Carito ci racconta il suo libro.
Come nasce l’idea di scrivere il libro?
“Da quando ho iniziato a lavorare come manager nel mondo dello sport, ho sempre cercato di accompagnare la carriera didattica a quella manageriale. Mi piace dare ai ragazzi che frequentano università e master la possibilità di conoscere esperienze, responsabilità e sacrifici dell’attività che facevo e mi piace continuare a studiare per evolvermi e continuare la ricerca dei nuovi linguaggi che accompagnano l’evoluzione del settore. E poi ho sempre ritenuto importante ricevere feedback dai ragazzi. Tre anni fa Agostino Piacquadio mi contattò per sottopormi la sua tesina di un master: mi convinse subito, tanto che decidemmo di iniziare un percorso basato sullo scambio di idee e sulla condivisione di ricerche. Dopo circa un anno e mezzo gli proposi di unire i nostri lavori per comporre un libro: accettò con entusiasmo. Poi presentammo il primo elaborato alla casa editrice Franco Angeli e il libro è arrivato alla pubblicazione”.
Perché la prefazione di Fabio Capello?
“Noi abbiamo scritto il libro, poi ci siamo chiesti quale persona del mondo dello sport incarnasse l’evoluzione che lo sport stesso ha vissuto in questi anni, tenendo presente l’importanza del calcio nel nostro Paese. Abbiamo individuato Fabio Capello: giocatore di successo, è poi stato un allenatore di successo che ha fatto esperienze molto varie. Prima si è affermato in Italia, poi si è affermato all’estero, ha allenato nazionali e poi è andato in Paesi che rappresentavano nuovi mercati come Russia e Cina. In tutto ciò nel passaggio da giocatore ad allenatore Fabio fu spinto a studiare da manager, da dirigente di azienda del Gruppo Fininvest. E inoltre oggi svolge il ruolo di opinionista nel settore dei media: è un profondo conoscitore dell’evoluzione dei media. È sempre stato un convegnista, un coach motivazionale. Una persona che ha accompagnato lo sport da tutti i punti di vista. Un po’ grazie al nostro rapporto personale e un po’ grazie al figlio Pierfilippo, Fabio ha letto il libro e gli è piaciuto subito. Nella prefazione lui racconta con grande naturalezza la sua evoluzione e quindi tratta i temi del cambiamento da tifoso ad utente e dell’incremento di nuove competenze necessarie tra manager di una volta e manager attuale”.
Il digitale ha cambiato la comunicazione nello sport e la pandemia ha ulteriormente modificato la situazione. Come?
“Il digitale ha reso la comunicazione dello sport più globalizzata, permettendo ad ogni operatore sportivo come club, federazioni, leghe ed istituzioni organizzatrici di raggiungere nel minor tempo possibile e nel modo più efficace possibile l’audience più larga possibile diramata geograficamente in aree più estese possibile. Questo ha permesso a tutti gli operatori dello sport di incrementare ed allargare il pubblico di persone interessate ai propri servizi e ai propri racconti. Perché per aumentare i ricavi c’è bisogno di allargare la fan base. Inoltre, essendo predisposta per essere multipiattaforma e multicanale, la digitalizzazione impone di differenziare il tipo di contenuto da produrre a seconda di dove e di come il contenuto stesso venga pubblicato. C’è quindi bisogno di maggiori sforzi e creatività per la produzione di contenuti che, anche se parlano dello stesso tema, devono essere declinati in più forme di linguaggio, con grafiche diverse, in lingue diverse e con stili diversi. Chi comunica, oggi, nel mondo dello sport deve avere le stesse competenze e la stessa visione di chi opera nel mondo dell’intrattenimento e dei media. La pandemia? La pandemia ha dato un’accelerazione all’ascesa del digitale. Il lockdown ci ha imposto di stare a casa e fortunatamente lo sport è stato un settore trainante che più o meno non si è mai fermato: l’utente ha potuto seguire le competizioni pur senza potersi recare fisicamente negli stadi, nelle arene e sui campi. Grazie alla digitalizzazione, il pubblico di tutto il mondo ha guardato le gare da remoto e gli introiti dei diritti televisivi non sono venuti meno”.
Nel libro si parla del passaggio da consumatori a consumattori.
“Il ruolo dell’utente si è evoluto alla velocità della luce. Lo fotografa bene nella prefazione Fabio Capello. Prima il tifoso era molto importante, ma era considerato l’ultimo della catena del valore produttivo dell’industria sportiva. Si costruiva la squadra dal punto di vista tecnico con l’obiettivo primario della performance, della competitività. Il tifoso era coinvolto nel gioire e nel soffrire per il risultato sportivo del club: era consumatore in quanto fruitore finale della competizione, dell’acquisto del biglietto o di un oggetto di merchandising. Oggi, soprattutto grazie alla digitalizzazione, il tifoso si è trasformato in utente: le possibilità di interazione odierne permettono all’utente di avere maggiore consapevolezza che si tramuta non più nella passività del fruitore finale ma addirittura in quella del primo artefice. Il consumatore è diventato consumattore perché sa benissimo che tramite i suoi suggerimenti, i suoi feedback, i suoi comportamenti d’acquisto e il suo essere opinion leader è diventato primo interlocutore della catena di valore della produzione. Dall’acquisto del singolo atleta alla messa in onda delle partite, passando per il disegno delle divise da gioco e per tante altre attività, le scelte vengono fatte in virtù di indagini di mercato sugli utenti. E senza la sostenibilità che garantiscono gli utenti in termini di sottoscrizione di abbonamenti streaming e tv verrebbe a mancare la risorsa principale che sostiene tutto il movimento”.
Chiudiamo con il concetto di enter(sport)ainment.
“L’enter(sport)ainment non è l’accompagnamento dell’evento sportivo con momenti di intrattenimento, ma il concetto secondo il quale oggi lo sport è obbligato ad evolversi per non morire. Le nuove generazioni hanno dimestichezza con il digitale, non hanno l’attenzione per assistere ad un evento dall’inizio alla fine e hanno l’esigenza di guardare le gare secondo il principio del second screen. I grandi broadcast ormai producono contenuti sul dietro le quinte dei club e sulle storie dei protagonisti perché l’evento agonistico non è più indiscutibilmente al centro dello sport, ma è solo una delle componenti di dinamiche più grandi tipiche dell’intrattenimento. C’è l’evento dal vivo, ci sono attività digitali, ci sono attività da remoto, attività che completano l’evento sportivo. La gente ha bisogno di affezionarsi all’atleta anche per ciò che fa fuori dal campo. Lo sport non è più a sé stante ma sta all’interno di una dinamica più grande, quella dell’intrattenimento. I nuovi manager dello sport devono agire in modo diverso rispetto al passato, perché lo sport gestito in maniera tradizionale non ha lunga vita se non inserito all’interno di questo nuovo modello di business più ampio”.